La torre antica

Maria salì trafelata la stretta scala dell’antica torre. Inciampò più volte sulle lastre di pietra lavica che coprivano i gradini, frastagliate, incrostate di sale, consumate dai mille e mille passi che le avevano calpestate prima dei suoi. Arrivata quasi in cima, un anello sporgente di ferro ricamato di ruggine la ferì ad un braccio, strappandole un grido di dolore, ma non fermò la sua corsa. Giunse all’ampia terrazza aperta sul mare. Le onde spumeggiavano inquiete, infrangendosi sulla scogliera abbarbicata alla base possente del torrione come in un abbraccio confuso di pietre ed acqua, baciando di salsedine i fichi d’india che crescevano abbondanti sul terreno scosceso. Nel cielo della notte non brillava alcuna luce. Poggiò le spalle scoperte al grosso muro merlato che circondava la terrazza, fissando stravolta l’imbocco della scalinata che aveva percorso quasi senza accorgersene. Sentì un rumore cadenzato avvicinarsi, quasi un cupo rimbombo che si mischiava al mugghio del mare in tempesta. In un istante rivide come in un sogno le passeggiate alla vecchia fortezza, la sua piccola mano di bambina avvolta da una stretta sicura, i suoi occhi sereni fissi sulla linea quieta dell’orizzonte o a seguire meravigliati il volo maestoso dei gabbiani e le loro acrobazie, mentre suo padre le raccontava le storie meravigliose della Fata del Mare che viveva proprio in quel posto ed aiutava le giovani donne, proteggendole con i suoi incantesimi dai feroci pirati barbareschi quando i loro uomini erano lontani a combattere. Adesso papà non c’era più da tanto tempo e il vento non stava fermo, anzi la sferzava con un verso deforme di lupo affamato. I suoi lunghi capelli di sole sembravano i vivi serpenti di Medusa e si torcevano senza posa, coprendo il suo viso ormai di donna. Quando quell’uomo conosciuto da poco l’aveva invitata a fare una passeggiata alla torre antica, con un sorriso gentile, aveva accettato subito. Lì si sentiva tranquilla, si diceva che la Fata aleggiasse ancora in quei luoghi e per lei era diventata una compagna ideale, un’amica con cui confidarsi ogni tanto e parlare del suo bisogno d’amore. Il rumore si fece più forte, martellante e istintivamente Maria si strinse le esili braccia al petto, coprendo le curve perfette dei seni che si affacciavano incerti dal vestito strappato. Poi lui arrivò, ansimante, ubriaco di desiderio, il volto segnato da graffi profondi e disperati. Avanzò verso di lei, lentamente, come per gustare meglio la vittoria ormai certa. "Fata fatina, che mi stai vicina, esci dal grande mare e vienimi a salvare". La filastrocca cominciò ad uscire dalle sue labbra di bimba tremanti di paura, prima come un balbettio indistinto, poi come una preghiera solenne, sempre più chiara e le parole bevevano le lacrime. L’uomo si fermò, quasi stupito, cercando di comprendere il senso di quella strana nenia, poi rise di un riso folle, inarrestabile e si scagliò su di lei. Maria serrò le palpebre arrossate, in un’ultima fragile difesa. Fu allora che si sentì sollevare come in un vortice improvviso verso il cielo lontano e le parve di sentire un fruscio d’ali. Passò un istante, oppure molte ore. Quando riaprì gli occhi, il vento si era fermato, i capelli adagiati morbidamente sulle spalle la scaldavano, erano apparse le stelle, tante e tutte raccolte sopra di lei. Si affacciò istintivamente verso le onde tornate tranquille e intravide quel corpo di mostro giacere scomposto sugli scogli aguzzi che lo stringevano in una morsa senza scampo. Poi una mano forte prese teneramente la sua e sentì una voce sussurrarle: "vieni bambina mia, torniamo a casa".