Francesca Santucci Il ratto di Proserpina
Gianlorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina IL MITO Plutone, re degli Inferi, innamoratosi di Proserpina, figlia di Giove e Cerere, la rapisce e ne fa la sua sposa. Cerere, venuta a sapere dove si trova la figlia, dopo averla cercata disperatamente per mare e per terra, si ritira adirata in solitudine, provocando carestia e siccità sulla terra. Allora Giove ordina a Plutone di restituire Proserpina alla madre, ma la giovane ha mangiato sette chicchi di melagrana (frutto che, connesso al mito di Proserpina, fu, poi, considerato sin dal Medioevo simbolo di resurrezione) e ciò è sufficiente a legarla definitivamente al mondo dell'aldilà. Secondo la tradizione, infatti, a chiunque si rechi nel regno dei morti e lì si cibi di alcunché, non è concesso il ritorno tra i vivi.Il re degli dei decreta, allora, che la figlia, ormai regina del regno dei morti, trascorra due terzi dell'anno sulla terra e un terzo con Plutone agli Inferi. IL MITO IN OVIDIO E Cupido aprì la faretra, e ubbidendo alla madre, tra le sue mille frecce ne scelse una che più acuminata e più stabile e più sensibile alla corda non avrebbe potuto essere. Aiutandosi col ginocchio curvò flessibile, e con la canna uncinata, colpì Plutone diritto nel cuore. “Non lontano dalle mura di Enna c'è un lago che si chiama Pergo; l’acqua è profonda. Neppure il Caistro sente cantare tanti cigni sopra le onde della sua corrente. Un bosco fa corona alle acque cingendole da ogni lato, e con le sue fronde fa schermo, come un velo, alle vampe del sole. Frescura donano i rami, fiori variopinti l'umido terreno. Qui la primavera è eterna. In questo bosco Prosèrpina si divertiva a cogliere viole o candidi gigli, ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e le falde delle veste, e faceva con le compagne a chi ne coglieva di più, quando Plutone- fu quasi tutt'uno — la vide, se ne innamorò e la rapì. Tanto precipitosa fu quella passione. Atterrita, la divina fanciulla si mise a chiamare con mesta voce la madre e le compagne, ma soprattutto la madre, e poiché si stracciò l'orlo superiore della tunica, questa si allentò e i fiori raccolti caddero per terra: e tanta semplicità c'era nel suo cuore di vergine, che anche la perdita dei fiori le causò dispiacere. Il rapitore lanciò il cocchio incitando i cavalli, chiamandoli ciascuno per nome, scuotendo sui colli e sulle criniere le briglie del cupo colore di ruggine; passò veloce sul profondo lago, sugli stagni dei Palaci, tra le esalazioni del golfo che erompe dalla terra e li fa ribollire… (Ovidio, Metamorfosi, libro V, vv.379-404).
LA SCULTURA DEL BERNINI
Fu nel nel
giugno del 1621 che Scipione Borghese
iniziò a pagare Bernini per “Il ratto di
Proserpina”; eseguita tra la primavera
del 1621 e l'estate dell'anno
successivo, la scultura venne
trasportata nel settembre del 1622 a
Villa Borghese, poi, qualche mese dopo,
il cardinale Borghese volle donarla a
Ludovico Ludovisi, nipote del nuovo papa
Gregorio XV, e allora fu portata nella
vicina Villa Ludovisi, posta su un
piedistallo su cui furono incisi alcuni
versi latini composti da Maffeo
Barberini, O tu che chino al suolo
raccogli fiori, alza il tuo sguardo su
di me, che vengo rapita nel crudele
regno degli inferi, in un
immaginario dialogo fra Proserpina e
lo spettatore, pensato intento a
raccogliere fiori così come la fanciulla
del mito nel racconto delle
“Metamorfosi” di Ovidio: Proserpina
si divertiva a cogliere viole o candidi
gigli”…“quando Plutone –fu quasi
tutt’uno- la vide, se ne innamorò e la
rapì. 1 NOTE 1) Metamorfosi, libro V, vv.395- 396. 2) Metamorfosi, libro V, vv.420-424.
BIBLIOGRAFIA L. Impelluso, Eroi e dei dell’antichità, parte II, Electa, 2004, Roma. Ovidio, Metamorfosi, Einaudi, 1979, Torino. T. Montanari, Grandi scultori- G. Bernini, Gruppo Editoriale l’Espresso, 2004, Roma.
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