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"I tre moschettieri " è
un libro che, ancora oggi, piace e si legge tutto d’un fiato per quella
miscela affascinante di vicende storiche e romanzesche, di avventure ed
idilli, di duelli e burle, per lo spirito avventuroso di cui è intriso e
che ha catturato anche il cinema che se n’è impadronito riproponendone
spesso il soggetto. Ed Alexandre Dumas,
scrittore geniale e uomo generoso, ebbe personalmente un eccezionale
spirito di avventura (forse perché era figlio di un generale napoleonico
ed aveva vissuto nel clima guerresco della Francia imperiale) che
confluì direttamente nei suoi romanzi, ed una fantasia molto fervida,
tanto che, sovente, per stendere per iscritto le inesauribili fantasie
che gli si accendevano nella mente, dovette ricorrere a numerosi
collaboratori, come Adriano Maquet, del quale ben si riconosce la mano
proprio nel libro "I tre moschettieri".
Dumas non fu, infatti, lo scrittore sognatore che si apparta a scrivere
in solitudine ed è indifferente agli eventi circostanti, al contrario,
fu curioso di tutto quanto accadeva nel mondo, viaggiò a lungo, in
Italia, in Belgio, in Russia, in Finlandia, e nel 1859, partito su di
una piccola nave alla volta dell’Oriente, preferì poi dirottare per la
Sicilia, per raggiungere le truppe garibaldine. E fu proprio al
nostro Garibaldi, nel quale vedeva l’esatta incarnazione degli ideali di
coraggio, generosità e lealtà che avevano ispirato i personaggi del suo
romanzo "I tre moschettieri", che offrì tutto il denaro che aveva
(impiegandolo in Francia per l’acquisto di armi e munizioni per le
Camicie Rosse), ed i suoi servigi, poiché lo seguì nella spedizione dei
Mille fino a Napoli, città che amò molto, per i suoi paesaggi, per i
monumenti, per la vivacità e l’ingegno dei suoi abitanti. Napoli, da
parte sua, ricambiò l’amore con entusiasmo, e Garibaldi ben si sdebitò
con Dumas: infatti il dinamico scrittore fu nominato da Garibaldi in
persona Direttore delle Belle Arti, carica che gli consentì di dedicarsi
attivamente agli scavi di Pompei e di fondare un gustoso giornale dal
titolo "L’Indipendente". Ma torniamo al
romanzo... e perdonate la digressione sulla parentesi napoletana della
vita di Dumas: mi sono lasciata trasportare dalla passione per
l’elemento avventuroso dell’autore, per Garibaldi e per il Risorgimento…
e mi sono lasciata sopraffare dal mio entusiasmo partenopeo.
Dunque, "I tre moschettieri" fa parte di una trilogia che comprende
"Vent’anni dopo", che è il seguito delle vicende trattate nel primo
libro, ed "Il Visconte di Bragelonne", ma, dei tre, sicuramente è il più
bello. Apparsa nel 1844,
l’opera, letta da grandi e piccini, uomini colti e semplici lettori,
riscosse immediatamente un grandissimo successo ed un consenso unanime
in tutt’Europa, tale da superare quello ottenuto da qualsiasi altra
opera di Dumas.
Siamo nell’anno 1625; la Francia è governata dal re Luigi XIII, sposo
della bellissima Anna d’Austria, non amato dai nobili ribelli e dagli
Ugonotti ma sostenuto dal cardinale Richelieu che, a sua volta, non ama
la regina perché imparentata con famiglie reali che potrebbero nuocere
alla Francia. Esperto, astuto e
privo di scrupoli, Richelieu a volte è consigliere del re, altre volte
opera contro il suo volere per abbattere i nemici della Monarchia e
consolidarne il potere. Il re, da parte sua, pur stimando Richelieu, si
compiace quando le sue guardie personali, i moschettieri, vincono in
duello le impeccabili e temutissime guardie del cardinale, facili ad
accendersi a quel tempo, soprattutto quando le teste sono scaldate dal
vino.
E’ in questo mondo di complotti ed intrighi che si trova catapultato D’Artagnan,
figlio di un nobile, ma squattrinato guascone che, con la benedizione
del genitore, si reca a Parigi per mettersi al servizio del re,
arrivando nella capitale solo con tre doni paterni: quindici scudi, un
cavallo spelacchiato (In fede mia, signore, un giallo ranuncolo com’è
la pelle del vostro cavallo l’ho visto spesso in botanica, ma mai in
zoologia, così apostroferà D’Artagnan uno sconosciuto alla locanda
del Buon Mugnaio), ed una la lettera di presentazione per il signor di
Tréville.
Ed è proprio nello studio del signor di Tréville che D’Artagnan fa la
conoscenza dei tre moschettieri: Athos, Porthos ed Aramis, con i quali,
dopo poco, sarà costretto a misurarsi in duello. Mentre D’Artagnan,
guascone, cioè buon schermidore, testardo, attaccabrighe e coraggioso,
in un luogo solitario, si batte a turno con i tre moschettieri,
irrompono le guardie del cardinale Richelieu, dichiarando in arresto i
contendenti perché i duelli sono proibiti.
Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan senza indugio mettono da parte ogni
contesa, si precipitano sulle guardie a spada sguainata e, dopo una
strenua lotta, escono vittoriosi dallo scontro.
E così che Athos, un nobile audace e pronto a dar di piglio alla spada
per un nonnulla, Porthos, un simpatico giovane vanesio, Aramis, un uomo
mite e pio che avrebbe preferito trovarsi nella pace di un convento
piuttosto che in mezzo ai duelli e agli spadaccini, e D’Artagnan, di
buon carattere ed abile spadaccino, tanto diversi per temperamento,
diventano inseparabili, pronti a sacrificarsi l’un l’altro, a fare
insieme infinite burle al cardinale Richelieu e a dividersi il magro
stipendio, andando incontro a mille rocambolesche avventure, guidati dal
coraggio, dall’audacia, ma anche dalla lealtà e dallo spirito
cavalleresco.
I quattro eroi sventeranno intrighi, lotteranno contro gli Ugonotti,
difenderanno l’onore della regina, smaschereranno la perfidia di Milady
ed infine riusciranno ad ottenere anche la riconoscenza di Richelieu
che, pur essendo uomo privo di scrupoli, agisce sempre e solo per il
bene del suo paese e, dunque, non esiterà a riconoscere i servigi resi
alla Francia dai quattro moschettieri, lodando le loro gesta e nominando
D’Artagnan, del quale ha sempre ammirato il coraggio e la lealtà,
luogotenente dei moschettieri. Nel finale della
storia quando, finita la lotta contro gli Ugonotti, la Francia ritornerà
a godere della pace, e volontà del re e del cardinale saranno tese
all’unisono verso il bene del Paese e della monarchia, dei quattro amici
solo il prode guascone resterà sotto le armi: Aramis diventerà abate,
Porthos sposerà una ricca vedova e ritornerà a vestire l’abito civile e
Athos si trasferirà nel Rossiglione dopo aver ricevuto una piccola
eredità. Termineranno così le
memorabili avventure dei nostri eroi per riprendere poi nel libro
"Vent’anni dopo", che Dumas scrisse in seguito, incoraggiato dal
successo riscosso da "I tre moschettieri".
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