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Van Gogh fin dagli esordi fu attratto
dalla rappresentazione dei lavoratori e dei contadini nei campi, dei quali
riusciva a rendere pittoricamente la povertà e l’indigenza che egli
stesso in varie fasi della sua vita dovette sopportare, concentrando
l’attenzione soprattutto sulla resa espressiva dei loro sguardi che
risultavano quasi allucinati, riuscendo ad esprimere magistralmente la
squallida esistenza della povera gente.
Già quando si trovava a Nuenen, quando ancora non era pienamente padrone
della tecnica ma egualmente potente era la sua pittura, trascorreva lunghe
ore a disegnarli e dipingerli, in denuncia sociale e adesione ideale e
romantica alla loro condizione umana così dura, a ritrarre i volti dei
contadini scavati dalla fatica e dalla miseria, i loro corpi rivestiti di
panni laceri, le donne infagottate in gonne ampie e sciatte; sono,
infatti, di questo periodo opere come Tessitori al telaio, Teste di
contadine e contadini e i Mangiatori di patate, opere influenzate dai
maestri olandesi del Seicento, ma d’impronta chiaramente espressionista,
drammatici nelle linee scarnificate e nei volti quasi grotteschi dei
contadini.
Nei Mangiatori di patate, soggetto di cui abbiamo due versioni
considerate entrambe capolavori del giovane Van Gogh, che richiese un
lungo e laborioso periodo di studio, con diversi schizzi preparatori,
disegni e litografie, l’artista aveva ormai superato la fase degli studi
di figure e paesaggi, e l’opera risulta compiuta in se stessa.
Di notevole forza morale e civile, il soggetto degli umili mangiatori, con
uso impressionistico dei toni scuri di forte impatto visivo, è esaltato
dall’utilizzazione di colori foschi, polverosi, che accentuano
sapientemente l’atmosfera di povertà e indigenza dei miserabili ritratti,
raggruppati ai lati della tavola, dai volti irregolari, le mani grandi e
contorte, gli sguardi intensi e accesi, con la fioca luce irreale della
lampada che appena rischiara i loro volti deformati in modo
quasi caricaturale, ed illumina le tazzine di caffè con l’ombra grigia
e il piatto colmo di patate, imprimendo al quadro un’atmosfera cupa ma
efficacemente realistica.
In una lettera al fratello Theo, così scrisse Van Gogh:
Ho voluto,
lavorando, far capire che questa povera gente che alla luce di una lampada
mangia servendosi del piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra
dove poi le patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro
manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato
di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto far pensare a un modo di vivere
completamente diverso dal nostro; di noi esseri civili.
E, in effetti, osservando il quadro, non si può non restare colpiti
dall’evidente abbrutimento della fatica fisica che emerge dalle loro facce, corpi ed atteggiamenti, dalle mani deformate dal lavoro, con i
volti rugosi e ossuti, ottenuti con pennellate vibranti e violente, figure
di povera gente non prive, però, di dignità derivante loro proprio
dall’aver guadagnato onestamente quel cibo semplice verso il quale
protendono le umili mani, e non si può non concordare che rappresenti la
summa espressiva degli anni di Nuenen e che realizzi pienamente
l’esaltazione dell’amore per la terra e per i suoi lavoratori.
Francesca Santucci
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