Giovanna la dissoluta,
Giovanna la cacciatrice di uomini, Giovanna
l’insaziabile, Giovanna dai cento amanti: così, per
secoli, è stata denominata Giovanna II, la regina di
Napoli (ma regina anche di Gerusalemme, Sicilia,
Ungheria, Dalmazia, Croazia, Rama, Serbia, Galizia,
Lodomania, Cumania, Bulgaria, e contessa di Provenza
e del Piemonte) che, fra gli amanti, annoverò pure
Bartolomeo Colleoni, il famoso capitano di ventura
bergamasco. Nato a Solza, in quel di
Bergamo, nel 1395, nelle lotte sostenute da Bergamo
per la sua libertà perse, ancora giovinetto, il
padre, un fratello e tutti i suoi beni. A quindici
anni si recò come paggio presso il signore di
Piacenza, Filippo Arcelli, un valoroso capitano di
ventura che lo iniziò alla carriera militare; ben
presto, però, il Colleoni s’imbarcò alla volta
della Francia, ma la nave su cui viaggiava venne
assalita dai pirati, allora fu costretto a riparare
a Napoli, e qui approdò a corte insieme a Jacopo
Caldora, dove conobbe la regina, molto più anziana
di lui, che subito restò colpita dalla sua prestanza
fisica:
Fuit Coleo corporis
statura
erecta atque habili,adeoque
formosus et agilis,ut
regina
Joanna ingenio procaci
mulier,
avidaque virorum fortium,
Coleoni amore caperetur...
(Paolo Giovio, vescovo di
Nocera)
Giovanna e Bartolomeo
intrecciarono una relazione e lui militò nelle fila
del suo esercito, e quando si congedò, per andare a
combattere altrove (fu, poi, al servizio della
Serenissima, dei Visconti di Milano, poi di nuovo a
quello di Venezia, che gli conferì il comando della
fanteria e il governatorato di Verona), la regina
gli concesse l'onore di fregiarsi delle sue insegne,
i gigli d'oro di
Andegavia1
(Angiò) che il Colleoni aggiunse al suo stemma
personale, perché Giovanna sapeva anche essere
riconoscente con chi la aiutava nelle emergenze. E le ore di pericolo
vissute non furono poche, nel periodo agitato e
convulso che conobbe il suo regno, oggettivamente
ingovernabile, attraversato da continue lotte, in
una Napoli funestata da mille sregolatezze, in una
corte giudicata severamente da due grandi scrittori
del tempo, il Boccaccio e il Petrarca, e dai vari
storici, Domenico Gravina, Tristano Caracciolo,
Angelo di Costanzo, Giovanni Antonio Summonte,
Pietro Giannone, Riccardo Filangieri; persino
Benedetto Croce, volgendo lo sguardo verso quel
tempo lontano tanto travagliato, così ebbe a
scrivere:
[…]veramente,
fu, quella un’epoca
battagliera e cavalleresca[…] Napoli e il Regno
avevano allora aspetto guerriero: tutti attendevano
alle armi, che erano principale cura di quella
società impegnata in varie e continue lotte.
2
Bartolomeo Colleoni non fu
che uno dei tanti amanti che ebbe la regina, e
proprio i numerosi amanti, veri o presunti, insieme
agli intrighi, le trame, i complotti e la
rilassatezza dei costumi della corte napoletana
(allora Napoli viveva un periodo storico molto
tempestoso, impegnata in continue lotte di potere
per la successione) per secoli hanno contribuito ad
avvolgere Giovanna II d’un fuorviante alone fosco,
nefasto e nefando. Così come accaduto anche
con la precedente regina Giovanna (tanto che
nell’immaginario popolare le due figure si fusero in
un’unica Giovanna ape-regina che, dopo l’amore,
mandava a morte gli occasionali amanti di turno
facendoli precipitare in una botola o richiudendoli
in luoghi segreti da dove mai più sarebbero usciti
vivi: i famosi “bagni della regina Giovanna”, come
Castelcapuano e il palazzo di Poggioreale, a Napoli,
fuori Napoli ad Amalfi, in una torre, in un’altra
torre fra Resina e Portici, i “bagni” di Sorrento)
di volta in volta Giovanna II è stata ritenuta
dissoluta, simbolo erotico di trasgressione,
gaudente dedita solo ai piaceri mondani. Tuttavia, in tempi più
recenti, da parte dei critici ha trovato nuova
considerazione, e della sua personalità sono stati
rivalutati altri aspetti, come il bisogno di
protezione ed il desiderio di difendere
orgogliosamente il suo regno, motivi, questi, che,
forse, furono quelli fondamentali che la spinsero
tra le braccia dei vari amanti, uomini forti che
potessero aiutarla concretamente e sorreggerla
emotivamente. Indubbio è che se le fonti
dell’epoca possono essere non sempre del tutto
attendibili rispetto ai regnanti, perché faziose, è
anche vero che più ci si allontana nei secoli e
maggiormente risulta difficile inquadrare nella
giusta ottica il vissuto di un grande personaggio,
eppure, sfrondandolo dagli elementi romanzeschi che
via via ne hanno arricchito la storia, l’occhio
critico pure riesce a captarne nuovi lati , a
valutare con distacco, a mitigare i giudizi più
severi. Certezza assoluta è che, in
quel tempo, il regno di Napoli effettivamente era
ingovernabile, e forse Giovanna dovette
sentirsi senza appigli, perciò costretta a
destreggiarsi, appoggiandosi ora all’uno ora
all’altro, consigliere, condottiero, successore,
intrecciando trame e alleanze, fra intrighi,
complotti e tradimenti, fino alla fine dei suoi
giorni. Giovanna II d’Angiò,
soprannominata Giovannetta, figlia del re Carlo
III, Duca di Durazzo, e di sua cugina Margherita,
alla morte del fratello Ladislao, re di Napoli e di
Ungheria, che l’aveva designata sua erede, si
proclamò regina di Napoli, e regnò dal 1414 al 1435. Femines non sunt
ut homines viriles
(“le donne non
sono virili come gli uomini”, cioè la regina non è
una donna forte, così si espresse su di lei il
fiorentino Doppo degli Spini),
sovrana debole e
insicura, Giovanna fu intuitiva ed assennata,
generosa e caritatevole (sostenne molti istituti di
assistenza, come, ad esempio, la chiesa di santa
Marta, che fece ingrandire e dotare di un convento e
di un giardino), costretta, però, a vivere in
un mondo dominato da scaltre figure maschili, dove a
contare erano la forza e l’astuzia. Impreparata a regnare,
essendo arrivata tardi al trono, nata per l’amore e
non per la guerra (di lei dicevano che lassavese
vencere secretamente alla tentazione della carne)3
, probabilmente non fu affatto la scaltra e
dissoluta mangia uomini dipinta dai detrattori, ma
una donna sola, costretta ad assumersi
responsabilità e a fronteggiare insidie alle quali
non era stata preparata, vittima di avidi personaggi
e di squallidi raggiri, costretta, nelle avversità
(contro gli attacchi dei due più acerrimi
contendenti, Alfonso V d’Aragona e Luigi d’Angiò) a
barcamenarsi, aiutata più concretamente, in quel suo
mondo in tempesta, dai capitani di ventura, come lo
Sforza, il Caldora e il Colleoni. Il
suo regno, così com’era successo alla precedente
regina Giovanna, fu estremamente travagliato, e la
sua vita fu attraversata da alterne vicende
domestiche e sentimentali. Arrivata al potere a
quarantatre anni, senza alcuna pratica di governo,
avendo trascorso la vita tra svaghi e divertimenti
di corte, feste, tornei, cacce, banchetti e amori
vari, ereditò un regno instabile e vacillante,
perciò fu costretta a lasciarsi guidare da
consiglieri astuti ed ambiziosi. Quando rimase vedova di
Giovanni d'Austria, dal quale non aveva avuto figli,
Pandolfello Alopo, il suo favorito (secondo alcuni
ex stalliere, secondo altri di buona famiglia, prima
coppiere, poi da lei nominato Gran Camerlengo), con
il quale ebbe un lungo legame amoroso, malvisto
dai baroni, la spinse a risposarsi, nel 1415, col
francese Giacomo II di Borbone, conte della Marca,
un uomo di nobili origini, ma di pochi scrupoli.
Aiutato dai baroni, costui s’impossessò del potere,
fece arrestare l’Alopo e imprigionare il condottiero
Muzio Attendolo Sforza, poi costrinse Giovanna a
promettergli che lo avrebbe sostenuto nel governo,
infine fece decapitare il suo amante e la tenne
praticamente sequestrata in Castel Nuovo,
lasciandola uscire solo in circostanze eccezionali,
ma nel 1416, grazie ad un'azione di forza degli
uomini a lei più fedeli, e al sostegno del popolo
che accorse in sua difesa, assediando Castel Nuovo (Ancora
le unioni di nobili e popolo e la costituzione delle
giunte si rinnovarono, nel 1416 per liberare la
regina Giovanna, tenuta come prigioniera dal
marito... ) 4,
alla regina furono restituiti la libertà ed il
potere, ed anche lo Sforza fu liberato. Giacomo
della Marca fu costretto a scappare in
Francia, dove, poi, si ritirò in un convento,
indossando il saio francescano. Ben
presto Giovanna ebbe un nuovo favorito, padrone del
suo cuore e del suo governo (che maneggiò
tutti gli affari al tempo di Giovanna II) 4,
Giovanni Caracciolo detto “Sergianni”, sposato con
Caterina Filangieri, figlia del conte di Avellino.
La
regina lo colmò di privilegi (concesse anche alla
moglie il diritto di entrare in possesso della
contea di Avellino alla morte del fratello), e lo
nominò Gran Siniscalco del Regno, ma questa carica
lo fece entrare in conflitto con lo Sforza, che era
Gran Conestabile; costui si alleò con il papa, che
promise a Luigi II d’Angiò la corona di Napoli.
Consigliata da Sergianni, Giovanna chiese aiuto al
giovane Alfonso V d'Aragona, promettendogli, in
cambio, di riconoscerlo come suo erede. Ebbe,
così, inizio la terribile lotta tra Angioini e
Aragonesi che scaraventò nell’anarchia il regno di
Napoli, fra alterne vicende belliche, mentre
Giovanna, per la successione al trono, altalenava
fra l’adozione ora di Alfonso ora di Luigi. Per
alcuni anni Giovanna fu quasi segregata in Castel
Capuano da Sergianni, che ormai esercitava un
potere tirannico, ma nel 1432 l’uomo venne
assassinato. Così
il popolo per strada, di quest’uomo potente e
temuto, cantò:
Morto è lo purpo6
e
sta sotto la preta,
muoro è Sergianni
figlio de poeta…
Tre
anni dopo, la notte del 2 febbraio del 1435, morì
anche lei, dopo aver riconosciuto come suo erede
Renato d'Angiò, fratello di Luigi, morto da alcuni
mesi, e fu seppellita con semplicità sotto l’altare
maggiore della chiesa dell’Annunziata , ma nel 1757
un incendio distrusse la sua sepoltura.
Nella
chiesa di San Giovanni a Carbonara, a Napoli, un
monumento spettacolare la ricorda ancora oggi, nel
mausoleo a Ladislao di Durazzo. In
una grande nicchia, formata da archi, con sei statue
sedute, si trova, infatti, la scultura, Ladislao
e Giovanna con corona, opera di Andrea Nofri,
voluta proprio dalla regina.
Entrambi sono seduti, con le insegne del potere: la
corona (simbolo insieme di culto e sacralità, di
sovranità per eccellenza), il manto regale, lo
scettro (simbolo più evidente, insieme alla corona,
del potere e della sovranità del re e
dell’imperatore) e nella mano sinistra il globo,
metafora del potere esteso sul mondo intero.
Giovanna, descritta donna bella e piacente, nella
rappresentazione scultorea non ha nulla di leggiadro
e affascinante, ma appare donna appesantita, con
volto grassoccio, doppio mento, irrigidita nella
dignitosa postura regale, forse perché, come annotò
Alessandro Cutolo7, lo scultore non
ebbe fama di grande ritrattista, oppure, più
semplicemente, perché colta nella stanchezza degli anni. Nelle
intenzioni della regina c’era, quasi certamente,
l’idea di far rappresentare e tramandare l’idea del
valore della dinastia alla quale apparteneva e del
potere regale che, di fatto, mai esercitò
realmente, non perché in balia delle sue passioni
amorose, ma perché inesperta, inadatta al governo,
arrivando al potere inadeguata, essendo stata
educata a condurre vita di principessa, e in età
non più giovanissima, posta di fronte a gravissime
responsabilità, perciò vittima dell’ambiente
circostante, degli uomini avidi e scaltri che la
affiancarono, e travolta dalle tumultuose vicende del
suo regno. Si
era donne anche così, nel Medioevo!
Francesca Santucci
Note
1)
Andegavia
è il termine latino che designava la tribù gallica
degli Andecavi, che diedero il nome alla
città di Angers. Da tale termine derivò il nome
dell’antica contea francese Anjou, formata,
nel secolo XI, nell’organizzazione
amministrativa di Carlo Magno, da tre civitas,
Tours, Angers e Le Mans, e quello della
dinastia degli Angiò, il cui fondatore, che ebbe in
feudo questa contea, sarebbe stato un leggendario
Ingelger, ma il capostipite fu Folco il Rosso, conte
di Angers.Agli inizi del ‘200, con la guerra tra
Filippo Augusto di Francia e Giovanni Senza Terra,
l’Angiò fu conquistata dalla monarchia francese ed
annessa alla Francia. In Italia la stirpe degli
Angioini si stabilì nel Regno delle due Sicilie, e
diede sei re e due regine, dominando, fra guerre
esterne ed interne, 175 anni.
2)B. Croce,
Storia del Regno di Napoli, III.
3)
Lupo De Spechio, Summa dei re di Napoli,
Napoli, Liguori, 1990.
4)
B. Croce,
Storia del Regno di Napoli, IX.
5)
B. Croce,
Storia del Regno di Napoli, III.
6) Ricordava il polpo (lo purpo) il sole
dardeggiante dello stemma dei Caracciolo.
7)
A. Cutolo, Giovanna II: la tempestosa vita
di una regina di Napoli.
Riferimenti
A. Cutolo, Giovanna II:
la tempestosa vita di una regina di Napoli,
Istituto Geografico de Agostani, Novara, 1968.
Yvonne Carbonaro, Le donne di Napoli, Newton,
Roma, 1999.
V.
Gleijeses, La storia di Napoli, SEI , Napoli,
1978.
M.
Liguoro, La regina Giovanna II, Newton, Roma,
1997.
B.
Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza,
Bari, 1967.
P.
Rapelli, Simboli del potere e grandi dinastie,
Electa, Roma, 2004.
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