Gianmario Lucini

L'aspetto che maggiormente colpisce degli scritti di Gianmario Lucini, poeta e critico, è la moralità, la "tensione etica" già così ben rilevata da Fabio Ciofi nella nota introduttiva della raccolta di versi  Allegro Moderato ( e sottolineata dallo stesso Autore), che permea di sé qualunque Sua espressione letteraria, sicché è poi  ininfluente che le attente e lucide riflessioni confluiscano in una critica o in un lirico intimo scavo.
Con rigore e severità, Lucini riflette su tematiche esistenziali, filosofiche, politiche, sociali, indaga e coglie nessi negli eventi e nelle cose, in sé e fuori di sé, in noi e fuori di noi, nell'uomo e nella società, con indignazione, furore, talvolta anche con avvilimento e scoramento, come quando confida: Sono come un vento senza voce/alla ricerca di silenzio.
E scrive del disagio di essere uomo oggi che l'uomo procura solo danni all'uomo (E non si cura di se stesso, del suo seme:/
lo spegne nel sangue, nella fame,/gli fa suggere l’uranio impoverito,/gli avvelena l’acqua, il pane), dello spaesamento causato da una società così omologata e massificata in cui quasi non v'è più spazio per l'individualità e per il libero pensiero, in cui  mancano certezze e valori.
E scrive di pace in tempi in cui è sempre così pericolosamente incerta, mentre dal basso insistentemente viene invocata ed invece dall'alto è  prepotentemente  ignorata. Ed allora il suo impegno, non solo letterario, ma anche nella solidarietà sociale, non diviene ma è autentica necessità morale.
E forse l’attingere materia per il suo canto poetico anche rivolgendosi al passato (Tra questi cupi pensieri/mi accorgo di cercare aria nuova;/rileggo i poeti letti a scuola/i versi divorati in gioventù) o  ispirandosi alle letture bibliche (ora canto nel tempio una/ trama di paura /che oscilla /fra la tua onnipotenza e la/ mia inanità./E sempre stringo ai fianchi/e cetra e spada... David), ed anche il suo puntare da artista l'obiettivo, per ritrarre le cime innevate dei monti svettanti contro il cielo terso della sua terra, la Valtellina, per sorprendere il gorgoglio lento di un torrente, la tranquillità del pastore a passeggio per i prati con le sue capre, la bellezza delle varie specie vegetali che infiorano le valli ed i pendii, fotografare un lastrone di pietra di più d'un secolo fa su cui la mano d'uno sconosciuto sentì il bisogno d'apporre la propria firma, scaturiscono dall'intima necessità  dell'uomo di spingere lo sguardo lontano, per cercare il Puro, l’Incorrotto, l'Assoluto.

 

Francesca Santucci