Gabriella Quattrini
PALCOSCENICO DI STELLE
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Gabriella Quattrini
C’era la luna alta nel cielo
quando richiusi la persiana. A quell’ora Piazza Bernini,
ammantata di magia, mi ricordò Piazza della Scala in
Trastevere, dove, per la prima volta salii su una
pedana. Su quel palco improvvisato, con la gente
assiepata tutt’attorno, mi sentivo a mio agio. Iniziai a
parlare nel mio dialetto, rivolgendomi ai presenti che,
incuriositi da quel fuori programma, si aspettavano che
io dicessi loro chissà quali cose! Capii che non potevo
deluderli ed iniziai con loro un vero e proprio dialogo
improvvisato, a soggetto, non avendo né copione né un
canovaccio da seguire; la mia era stata una
partecipazione del tutto accidentale.
Quella fu la prima volta che ebbi
piena consapevolezza di possedere un animo di
saltimbanco. Recitare i miei versi, i miei monologhi in
mezzo alla strada per persone di tutti i ceti,
analfabeti o letterati, tutti, indistintamente, liberi
di fischiarti o applaudirti, dove niente si fa per
compiacenza, era il massimo a cui potessi aspirare.
Quando m’accorsi che le mie parole
coinvolgevano emotivamente i presenti, compresi che ero
nata per cantare la vita, proprio come un cantastorie.
Un marciapiede, quattro tavole
traballanti, il respiro della gente, il loro odore, il
battito dei loro cuori quando mi abbracciavano, diventò
per me un’afrodisiaca droga. Non avevo bisogno di un
copione, non ne ho avuto mai bisogno, la vita l’aveva
scritto per me.
Come descrivere l’emozione di
quando, sull’altare maggiore della basilica, accarezzata
dalle note di un pianoforte a coda, respirando il buon
odore dell’incenso, interpretai, fra l’emozione dei
presenti, la poesia dedicata a Piazza Bernini!
In quella Chiesa, sull’altare dove
resi l’estremo saluto alle persone che più mi hanno
amata, quella sera, con la forza delle mie parole, le ho
obbligate a tornare, restituendo loro la condizione dei
vivi.
E come dimenticare quando la gente
del quartiere eresse un piccolo palco al centro del
giardinetto, in un punto da dove potevo vedere la mia
finestra!
Quella sera, dopo il tramonto,
salendo sulle traballanti tavole, ritrovai il mio
palcoscenico di stelle e, mentre il fonico mandava brani
musicali di canzoni da me scritte, rividi in quei
lampioni accesi tutte le stelle che un tempo mi regalai.
Nello scendere dalla pedana, vidi
Bibì addormentata su una panchina, nel pugno stringeva
il suo cerchietto colorato; la presi in braccio per
portarla a casa e nel sentirla così indifesa nel suo
sonno innocente, per non svegliarla, le sussurrai:
-Grazie Bibì per il meraviglioso
mondo che mi hai lasciato-
Quando sarò chiamata salirò
sul "grande palcoscenico del
cielo"
e lì dimostrerò con le mie
favole
che ogni amore terreno ho
consumato.
In quello spazio destinato agli
Angeli,
perché le differenze non
esistono,
io mi riapproprierò di quell’Amore,
da sempre mio, filtrato e
rifiltrato
attraverso quel filtro
giustiziere,
impietoso, crudele
che noi chiamiamo,
impropriamente:
VITA.
FINE
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