Sul lago Dahl
Un bus stracarico di uomini, avvolti nei
loro turbanti, arrancava per una strada
impervia della regione del Kashmir indiano.
I poveretti erano stipati dentro un
malandato veicolo ed alcuni sedevano pure
sul tetto.
Ad una curva, le ruote slittarono sulla
fanghiglia ed il conduttore perse il
controllo del mezzo.
Si udì il sibilo dei freni, poi uno
sferragliare meccanico.
Al di sotto della strada, un burrone
scendeva verso le rive del lago Dahl.
Impennandosi di fianco, il bus si capovolse
ed iniziò a precipitare in quella scarpata.
Urla, gente schizzata fuori, rumori
raccapriccianti. Poi niente. Solo un
silenzio di morte, interrotto ogni tanto da
qualche esile lamento.
Con la sua jeep, in quel momento, si trovava
a passare il tenente italiano Mauro Bei, del
gruppo Osservatori delle Nazioni Unite.
Era un ufficiale di carriera e s’era
arruolato nell’ONU per allontanarsi dal
reggimento ove prestava servizio e
soprattutto da Gianni, suo amico di sempre.
Quanta invidia, quanta acrimonia avevano
rovinato la loro solidarietà!
Facevano entrambi lo stesso mestiere di
militari abituati alla disciplina, al senso
del dovere. Ma la rivalità e il desiderio di
primeggiare sono come l’acqua che, prima o
poi, corrode i ponti. Ed avevano corroso i
loro rapporti.
Adesso Mauro era sereno, lontano migliaia di
chilometri e sempre a contatto con della
gente completamente diversa da quella che
aveva mai conosciuto. Gente povera, ma dalle
antiche tradizioni, che il progresso aveva
scalfito appena. Gente dallo sguardo dolce e
rassegnato.
Con il suo gruppo di ufficiali Osservatori,
viveva lavorando molto spesso alla radio, da
cui comunicava, in lingua inglese, tutto ciò
che poteva aiutare a mantenere la pace tra
due popoli fratelli, ma divisi da due
religioni diverse, in quel lembo del mondo,
in quella terra tormentata sulla linea del
<cessate il fuoco> tra l’India e il
Pakistan.
Nei giorni di riposo, aveva viaggiato ed
aveva conosciuto posti incantevoli. Aveva
fatto esperienze nuove ed aveva iniziato ad
abituarsi alle usanze, al cibo, alla lingua
di quelle persone.
Che paesaggi affascinanti! Nei suoi occhi,
quanti monumenti antichi che affondavano le
loro radici nel cuore dell’umanità!
Aveva preso ad amare quei luoghi, a
scoprirli sempre con rinnovato piacere.
Gli ufficiali alloggiavano molto spesso case
galleggianti sul fiume Dahl. In quel
periodo, Mauro occupava una house-boat,
insieme ad alcuni colleghi.
Ricevevano ospiti importanti e avevano a
servizio un personale costituito da Kashmiri
di nazionalità indiana, ma di fede musulmana
e cuore pakistano.
Settimanalmente, un piccolo aereo da
trasporto canadese, atterrando nel vicino
aeroporto, depositava per loro tante varie
ed abbondanti derrate alimentari ed ogni
altro genere di necessità.
Una sera, erano arrivati da Srinigar degli
uomini anziani e gli ufficiali li avevano
invitati a cena.
Mentre mangiavano, uno dei più vecchi aveva
cominciato a narrare una antica leggenda del
Kashmir.
“Quando guardi le stelle” aveva detto “e in
una di loro intravedi una persona cara, ma
non ne sei sicuro a causa della distanza,
volgi lo sguardo dalla tua house- boat verso
le acque del lago Dahl.
Se quella persona ti vuol bene, la vedrai
rispecchiare nelle sue dolcissime acque.”
Così nelle notti successive, Mauro cominciò
a guardare gli astri stando seduto sul
terrazzino della sua casa galleggiante.
I riflessi della luna sulle sponde del lago
creavano un’atmosfera irreale, di sogno. In
lontananza, s’intravedevano le ombre di
alcune antiche pagode,
gli alberi stagliavano contro il cielo le
loro fronde come tante braccia
protese in preghiera.
Sarà stata la suggestione o quel paesaggio
da fiaba, ma il tenente aveva proprio
l’impressione di scorgere, nelle stelle, il
viso di Gianni.
Con quel ragazzo aveva condiviso tutta una
vita! Erano stati amici per la pelle,
confidenti, complici in tante avventure.
Poi il lavoro li aveva divisi, ma l’amicizia
è dura a morire quando si cresce, si studia,
si gioca assieme.
Gianni! Ricordava le risate, i divertimenti,
gli scherzi.
Ancora nessuno dei due aveva trovato la
ragazza adatta cui vincolare la propria
libertà. In vero ci avevano provato spesso,
ma con scarsi risultati.
Mauro aveva conosciuto suor Priscilla, in
una Missione cattolica, un po’ scuola un po’
ospedale.
Faceva parte della congregazione fondata da
Madre Teresa di Calcutta.
Era una oscura suorina, ma santa anche lei.
Giovane, alta e slanciata, sempre sorridente
e pronta a sacrificarsi per i suoi poveri.
Proveniva dall’Italia come lui e l’aveva
subito affascinato con i suoi occhi di un
azzurro intenso.
Alla dogana, suor Priscilla contrabbandava
oggetti utili per i suoi assistiti.
L’aveva scoperta un giorno mentre diceva
che, nel pacco ricevuto, c’era solo Holy
Mary.
L’aveva ammirata per il suo coraggio e ne
era divenuto complice.
Adesso, quando poteva, s’industriava per
aiutarla nel suo lavoro d’assistenza ai
poveri e agli ammalati.
Quindi, il senso della sua vita aveva
acquistato un valore diverso. Si sentiva
utile e soddisfatto.
Quando rivedeva la suora, il cuore subiva un
arresto. La guardava estasiato. Avrebbe
voluto curare quelle mani tutte sciupate da
umili lavori.
Nelle stelle, sul lago Dahl, vedeva il volto
soave di Priscilla, ma se si volgeva alle
acque, non lo vedeva riflettersi. E sapeva
bene il perché.
Il suo era un amore impossibile!
Una volta alla dogana, s’era accorto che la
suora s’era messa nei guai.
Era prontamente intervenuto e si era fatto
garante per lei, in qualità di ufficiale
delle Nazioni Unite.
“Grazie tenente,” gli aveva detto in seguito
“non scorderò mai la sua bontà!”
Quegli occhi che lo guardavano erano più
azzurri di ogni cielo azzurro.
Non l’aveva più rivista da parecchi giorni e
sapeva che era andata a soccorrere un gruppo
di disperati senza tetto, che volevano
trovare rifugio in qualche luogo.
La jeep dell’ONU, guidata da un caporale
indiano, procedeva celermente lungo la
strada che costeggiava il lago, quando era
avvenuto il disastro.
Mauro, a poche centinaia di metri, aveva
assistito all’incidente. Ordinò di frenare
ed all’istante balzò giù dall’auto. Si
affacciò sull’orlo della scarpata e scorse
uno spettacolo tremendo.
Un fumo denso si alzava dal bus ridotto in
rottami e corpi inerti e lacerati erano
sparsi ovunque.
Si precipitò giù nel burrone per dare aiuto
ai malcapitati e ai sopravvissuti.
D’un tratto, si sentì chiamare: “Tenente!
Venga mi aiuti!”
Si volse e dietro un grosso sasso, vide suor
Priscilla china, accanto ad un moribondo.
“Sorella! Lei qua! Oh per carità, come sta,
cosa si è fatta?”
La sua voce era allarmata, ansiosa.
“Mi aiuti a trasportare questo poveretto.
Vede, è ancora vivo, bisogna portarlo
all’ospedale. Ce ne saranno altri. Chiami
soccorso alla radio. La prego!”
“Sì, ma lei come si sente, può alzarsi?”
“Io sono illesa. Il buon Dio mi ha protetta,
ma dobbiamo darci da fare per tutti gli
altri.”
Era ricoperta di polvere ed aveva l’abito
talare strappato, ma si alzò repentinamente.
Mauro s’avvicinò al ferito e, con sua enorme
meraviglia, ravvisò in quel viso agonizzante
un’incredibile rassomiglianza.
I capelli lisci e neri incorniciavano un
viso bruno assai bello. Era un viso molto
simile a quello di Gianni.
Com’è strana la vita! Non era lui, ma lo
ricordava in maniera straordinaria.
Non pensava più a Priscilla, guardava il
ferito come inebetito.
“Tenente! Presto! Non bisogna perdere
tempo!”
Se lo caricò sulle spalle e cominciò la
salita della scarpata con quel peso non
indifferente.
Arrancava e ad ogni passo che compiva, aveva
l’impressione d’avere una montagna addosso e
questo perché doveva procedere in salita.
Quando era disceso non s’era accorto di
quanto fosse ripida.
Il caldo era terribile e riusciva a stento a
respirare per la fatica.
La suora gli stava dietro e cercava
d’aiutarlo in qualche modo.
Quando finalmente arrivò stremato alla jeep,
adagiò sui sedili il ferito che si lamentò e
pronunciò qualche parola sconnessa.
La voce! La stessa voce di Gianni!
Doveva essere proprio vero quell’antico
adagio secondo cui, nel mondo, siamo in
sette ad essere quasi identici.
Mauro accese la radio e cominciò a chiedere
soccorso ai suoi colleghi designando il
punto preciso dell’incidente.
Di lì a breve sarebbero sopraggiunti in
forze per recare aiuto ai sopravvissuti.
La suora si sedette accanto a lui e
s’avviarono verso il più vicino ospedale.
Quando vi arrivarono, compresero che per
quel poveraccio vi erano poche speranze.
Fu praticato ogni intervento necessario e
suor Priscilla gli restò sempre accanto per
alleviargli le sofferenze.
“Come ti chiami? Hai famiglia?” gli aveva
chiesto.
“Mohamed,” aveva detto in un bisbiglio.
Aveva lo sterno e lo stomaco fracassato.
S’era lamentato in preda a dolori atroci e
lei gli aveva stretta la mano, gli aveva
bagnato la fronte, lo aveva carezzato, aveva
fatto tutto il possibile per non farlo
soffrire troppo. Aveva finanche chiesto che
gli somministrassero della morfina.
Mauro non s’era mai allontanato ed aveva
profondamente ammirato lo spirito
d’abnegazione di quella donna. Suor
Priscilla aveva un unico scopo nella vita:
servire gli altri. In specie gli ultimi
degli ultimi, i sofferenti e i moribondi.
Mohamed aveva esalato l’ultimo respiro e lei
l’aveva aiutato a morire in pace.
Che impressione però! Era stato un po’ come
veder morire il suo Gianni.
Dopo qualche ora, erano sopraggiunte le
station wagon dell’ONU che recavano gli
altri feriti, e i giornalisti locali che
chiedevano notizie sull’incidente. Gli
avevano domandato come si chiamasse, ma non
aveva voluto rispondere.
Il giorno dopo, come anonimo Osservatore
delle Nazioni Unite, aveva provato l’intima
soddisfazione di leggere, sul giornale
locale, di un ufficiale italiano che aveva
soccorso invano il fu Mohamed.
Il lago Dahl continuava a rispecchiare un
volto: il volto di Gianni.
La malinconia aveva cominciato ad aleggiare
sul sorriso di Mauro.
Ma un giorno, “segno di quella Provvidenza
Divina che tutto vede e che consola”, come
diceva un grande scrittore, una telefonata
gli giunse da lontano: “Hallo Sir. A call
from Italy. Hold the line.”
“Pronto, sono il tenente De Cesari. Sono
Gianni De Cesari e vorrei parlare con il
tenente Bei.”
La sua voce!
D’un tratto, Mauro ricordò quando al liceo
avevano studiato Aristotele che, interrogato
su cosa fosse un amico, aveva risposto che è
un’anima che vive in due corpi.
“Sono io! Gianni sono Mauro!”
Le due voci attraversavano L’Asia e
L’Europa, ma in quel momento erano
vicinissime poiché i cuori battevano
all’unisono.
“Ehi scemo! Come va!?”
Per un corpo ammalato occorre il medico, ma
per l’anima ci vuole l’amico. E si sentiva
già meglio.
“Gianni dove sei? Come stai?”
“Sto bene, ma mi va di rivederti. Senti,
siccome da domani sono in ferie, ho pensato
che potrei venire come turista in Kashmir.
Che ne pensi?”
Come comportarsi con gli amici? Semplice:
come vorremmo che loro si comportassero con
noi! E Gianni stava facendo proprio come lui
avrebbe voluto.
Che eccitazione! Quanta gioia inespressa!
“Quando arrivi, a che ora, dove, con quale
volo? Dove atterri?” Era una raffica di
domande convulse.
“Ah ah ah ah ah. Arrivo domani l’altro a
Srinigar. Verrai a prendermi?”
“Ci puoi giurare.”
|