Ermanno

 

Giulio era un ragazzo sempre allegro e amante della vita. Era molto amico di Ermanno, un giovane paraplegico, costretto, ormai da diversi anni su una sedia a rotelle, a causa di un incidente: infatti, si era trovato sotto un palazzo in costruzione a Palermo, e una trave, sganciatasi da una gru, lo aveva preso in pieno sulla schiena. Aveva rischiato di morire e per diversi giorni era stato tra la vita e la morte.I medici dell’ospedale, alla fine, lo avevano salvato, ma non erano riusciti a restituirgli l’uso delle gambe.
Di sicuro non era una fortuna trovarsi vivo in quelle condizioni, ma se n’era fatto una ragione, trovando un diverso equilibrio in tutte le circostanze della vita. Si era reso presto autosufficiente, poiché la cosa che soprattutto lo avviliva e lo angosciava era il dover dipendere dagli altri. E poi si era sentito amato ancora da tutti. Stava in compagnia, conversava con la gente, andava al mare, che lui adorava. Aveva tanti amici, ma più di tutti gli era affezionato proprio Giulio, un giovane aitante, alto, bello, riccioluto e scuro di pelle. Passeggiavano e parlavano lungo la spiaggia, in tutte le stagioni, incuranti della sferza del vento invernale o indifferenti alla calura estiva.
La loro amicizia era fatta di complicità e confidenza assoluta. Si svelavano tutti i segreti ed ogni pensiero recondito. Al risveglio, entrambi erano felici pensando di poter rivedere l’altro.
Nessuno dei due aveva voluto frequentare l’università e, appunto, una cosa che li accomunava era la scarsa versatilità allo studio.
Tutte le domeniche i due ragazzi se n’andavano lungo il litorale. Nel primo pomeriggio non c’era nessuno per le strade ed essi si sentivano i padroni della città. Ermanno talora taceva assorto nella contemplazione del paesaggio e dell’immensa distesa del mare. Dopotutto, si meravigliava lui stesso del cambiamento del proprio carattere. Prima della disgrazia, non dava significato a molte cose che dopo si erano rivelate sotto una diversa luce. Aveva più tempo per rifletterci, per cui la vita aveva assunto una luce nuova anche nelle cose quotidiane, piena di valori sino ad allora sconosciuti. La città per esempio: la guardava con occhi nuovi e ne scopriva, ogni giorno, dimensioni inesplorate ed insospettabili. Il dedalo dei vicoli, così umani e caratteristici, per esempio; i vicoli di una Palermo affascinante ed antica, romantica e piena di miseria morale e materiale. Lui amava quella città, la amava con tutto se stesso, ed ora dalla sua carrozzella poteva meglio contemplarla ed assaporarla. Purtroppo era pure difficile camminarci e respirare in quelle strade piene d’inquinamento.
Una volta, Giulio gli aveva detto: ”Non so quello che avrei fatto se fosse accaduta a me la tua stessa disgrazia!”
“Oh! Ti saresti abituato! Però, sai, vedi le cose in modo diverso, come se qualcuno ti aprisse improvvisamente gli occhi: allora ti accorgi della sporcizia delle strade, dell’inciviltà della gente e della miseria che ti circonda. Ma soprattutto ti accorgi che gli altri sono insensibili. Ti senti solo ed estraneo. Eppure vedi confusione e traffico dappertutto, e io, in queste condizioni, sapessi che fatica! “
Se non fosse stato per Giulio, che molto spesso lo accompagnava, certe volte non sarebbe riuscito neppure a tornare a casa. Lui stava bene solo vicino al mare. Lì non gli mancava nulla e neanche la sua condizione gli pareva più tanto tragica.
Il mare! Lo aveva amato sin da piccolissimo. Ne aveva sempre subito il fascino prepotente. Lo guardava e ne ammirava la maestà e la potenza infinita.
Prima, la sua passione più grande era stata quella di nuotare ed immergersi nelle acque di Mondello.
 Era, per lui, un elemento familiare ed amico.
Gli avevano assicurato che avrebbe potuto egualmente fare il bagno in piscina, ma non era la stessa cosa. Non era come sentirsi libero e beato nel mare.
Aveva allora cercato d’immergersi, lasciando la carrozzella sulla spiaggia, ma c’erano volute quattro persone che lo aiutassero. Dunque vi aveva rinunziato. 
All’inizio, aveva sofferto molto anche per le piccole necessità quotidiane, ma aveva poi trovato mille soluzioni, e riusciva sempre a cavarsela. Se proprio gli andava storta qualcosa o si spazientiva, se n’andava al cinema e questo lo distraeva e lo calmava.
Spesso si recava alla villa<Giulia>, dove trascorreva il tempo davanti la vasca dei pesci a conversare con i vecchi pensionati.
 La vita trascorreva così. Era bella la vita per chi era stato ad un passo dalla morte. Ermanno la apprezzava più di tanti altri. Guardava il sole, il mare, i fiori, le montagne, e sapeva, con esatta cognizione cosa voglia dire essere sul punto di non rivederli mai più.
Le sue giornate trascorrevano con serena rassegnazione, un po’ monotone in fondo, senza che accadesse mai niente di diverso.
Ma un giorno qualcosa avvenne e lasciò il segno per sempre.
Era Luglio, un primo pomeriggio domenicale.
Il caldo aveva fatto evadere tutti nei luoghi di villeggiatura, oppure al mare, dove la brezza leniva l’afa. In giornate come quelle le strade rimanevano deserte fino a sera.
Ermanno e Giulio si trovavano invece a passeggiare in un luogo solitario della città.
Giulio spingeva, come il solito, la sedia a rotelle e chiacchieravano felici e paghi ognuno della compagnia dell’altro.
Ogni tanto qualche automobile sfrecciava e li superava rompendo la quiete. I due amici si riparavano dal sole, fermandosi ogni tanto all’ombra di qualche albero. Si guardavano intorno e ritrovavano la loro Palermo tranquilla come ormai non era più. Rivedevano cose viste da sempre e di cui soltanto ora sembravano accorgersi. Specialmente per Ermanno era un vero piacere.
Ad un tratto, gridò: “ Attento! “ Infatti, aveva scorto una moto di grossa cilindrata che correva a folle velocità verso di loro. Sbandava paurosamente con un sibilo sinistro di pneumatici.
Fu questione di un momento: Giulio avvertì anche lui il pericolo e fece appena in tempo a spingere di lato la carrozzella dell’amico prima di essere investito. Il motociclista, nonostante l’urto, continuò la sua corsa.
“Giulio, Giulio, rispondimi!” esclamò Ermanno appena riavutosi dallo spavento.
L’amico giaceva a terra, senza sensi, piegato su se stesso come una marionetta. Un rivolo di sangue gli colava agli angoli della bocca, ma si capiva che era ancora vivo da come il torace si alzava e si abbassava.
“Oh per carità, Giulio! Aiuto! Aiuto! Aiuto!” gridava Ermanno.
Attorno non vi era anima viva.
Tentò di fermare con ampi gesti delle braccia un’automobile in transito, ma questa senza neppure rallentare, accelerò e sparì.
Aveva con sé il telefonino e cercò allora di chiamare il pronto intervento. Purtroppo però l’apparecchio risultava senza campo e non prendeva la linea. Riprovò infinite volte con mani tremanti e con il cuore in tumulto, ma niente da fare. Ricordò che l’amico aveva pure un telefonino in tasca e, forse, il suo avrebbe funzionato. Però l’investito era riverso su se stesso e sarebbe stato difficile arrivare a prenderglielo. Ci provò. Doveva fare sforzi sovrumani dalla sedia a rotelle. Si piegava in avanti, rischiava di cadere, ma non desisteva. Provava ad allungarsi e a mettere una mano sotto il corpo di Giulio, ma l’impresa era disperata. Mai come in quel momento aveva avvertito la miseria della sua condizione.
Alla fine, con uno strattone disperato, Ermanno riuscì ad estrarre il telefonino dal pantalone del ragazzo privo di sensi.
Fortunatamente, quest’altro apparecchio si collegò con l’ospedale.                  
“Pronto! Pronto! Fate presto! Mandate subito un’ambulanza in Via……Correte presto! C’è un ferito grave! Gravissimo!“    

Parlò tutto d’un fiato, concitato, terrorizzato, allarmato oltre ogni dire.
Trascorse del tempo prima che avvertisse la sirena dell’ambulanza che si avvicinava e l’attesa gli parve interminabile. Era angosciato, disperato, ed ogni fibra del suo essere era vicina a Giulio.                
Gli infermieri li caricarono entrambi sull’ambulanza, e, via, a sirene spiegate.
Ermanno aveva ripreso le forze e parlava raccontando l’accaduto. Parlava, parlava e guardava Giulio. Il suo Giulio pallido come un morto. Ma poco dopo, questi cominciò a lamentarsi e l’infermiere che gli teneva il polso disse laconico: “ Secondo me, se la caverà benissimo.”
Li portarono, a sirene spiegate, al Pronto Soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo.
Qui Giulio ricevette i primissimi soccorsi e fu subito messo sotto osservazione.
Ermanno non lo abbandonò un secondo. Si allontanò per qualche minuto, solo dopo aver avuto l’assicurazione dei medici che l’amico non correva assolutamente pericolo di morte.
Telefonò ai familiari di Giulio. Riferire ed annunziare la terribile notizia a quei poveri signori sarebbe stata un’impresa assai difficile e grave. Si fece coraggio e compose il numero.
”Pronto, signora, sono Ermanno. E’ accaduta una cosa gravissima. Giulio è stato investito da una moto, non è grave, ma i medici lo vogliono tenere sotto osservazione. Siamo al Pronto Soccorso dell’Ospedale Civico.”
Dall’altra parte, silenzio assoluto. 

“Pronto, signora mi sente? Giulio è ferito, ma non è grave.”
A questo punto, sentì rispondere: “Stiamo arrivando.” E tosto fu tolta la comunicazione.
Conosceva bene la madre del suo amico: in quel momento sarà stata come tramortita. Poveretta! E questo perché Giulio aveva voluto innanzi tutto salvare la vita di Ermanno.
La vita! Era proprio strana la vita! Ma bellissima. Un sentimento che va oltre ogni confine dell’umano aveva spinto Giulio ad agire, così spontaneamente. Non aveva pensato ad altro che a lui, ad Ermanno. Caro Giulio, non aveva pensato per niente a se stesso!
Dalla camera di rianimazione uscì, dopo mezz’ora, una bella ragazza in camice bianco. Era una infermiera. Vedendo Ermanno annunziò subito: “ La prognosi è riservata; ciò che preoccupa i medici è una leggera lesione alla colonna vertebrale.”
Ermanno sentì una fitta dolosa al cuore; proprio qualcosa di fisico che gli stringeva la gola e non lo faceva respirare.
La colonna vertebrale! Le gambe! Come lui, proprio come lui.
Se la lesione fosse stata permanente ed irreversibile, Giulio sarebbe stato condannato anche lui per sempre su una sedia a rotelle! Lo stesso destino. Ed Ermanno conosceva troppo bene il significato di quel destino. Sentì che le lacrime lo stavano assalendo, ma non doveva piangere. Aveva già da tempo imparato a non piangere su se stesso. Adesso doveva sforzarsi, doveva vincersi e frenarsi. Non doveva piangere neppure per Giulio. Ma era molto più difficile. Il suo amico era l’immagine della salute, della gioia di vivere! Aveva vent’anni ed era molto bello, alto, con spalle larghe e ben tornite. Con una carnagione che sembrava eternamente abbronzata e dei capelli nerissimi, ondulati, corti, e sempre spettinati. Giulio, che rideva sempre, che sapeva tenerlo allegro, con i suoi scherzi salaci e le sue battute irresistibili. Giulio che gli voleva bene e che glielo aveva sempre dimostrato in mille modi. Adesso aveva persino rischiato la propria vita per lui.
“Non piangere Ermanno! Non devi piangere. Lo devi fare per Giulio”, si diceva il ragazzo.
Ma era un bel dire e un bel pensare: lacrime copiose gli scendevano per le guance mentre lui teneva la testa reclinata verso la sedia a rotelle.
“Non pianga”, gli fece una voce “ il suo amico non morirà di certo, non è gravissimo”. 
Era l’infermiera di poc’anzi che cercava di fargli animo. Gli sorrideva incoraggiante e quel sorriso era dolcissimo, sincero e fatto di denti bianchissimi e perfetti.
“ Temo che possa aspettarlo la stessa mia sorte, vede”, replicò Ermanno asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, “sarebbe terribile! Non è possibile! No, per Giulio non è possibile.”
“Ma che dice, chi l’ha detto che potrebbe perdere l’uso delle gambe? “ ribatté subito la ragazza,
“la lesione alla colonna è lieve e al momento non si può dire nulla.”
“Quando sono divenuto io paraplegico, quattro anni fa, fu proprio a causa di una lesione alla colonna vertebrale”. Ricordando quei fatti, Ermanno era divenuto pallidissimo.
“Mi dispiace molto, ma di certo il suo danno sarà stato devastante ed irreversibile, non sarà così,
per il suo amico, vedrà.”
“Dio lo voglia, pensi che Giulio mi ha sempre chiesto come facessi a tollerare la mia situazione!” L’infermiera lo guardava con due occhi pieni di meraviglia. Erano castani o dorati quegli occhi? In ogni caso Ermanno li fissava incantato. Erano l’unica cosa che riuscisse a distoglierlo dalle sue preoccupazioni. E poi era difficile, anzi quasi raro, incontrare in un ospedale di Palermo un’infermiera cosi sollecita, gentile e disponibile. Per non dire che era pure una gran bella ragazza. E doveva avere all’incirca la stessa età di Ermanno. Quindi giovanissima, ventidue anni, più o meno.
Di lì a poco arrivarono i genitori di Giulio. Erano stravolti. Pallidi e tremanti non chiesero nulla a nessuno, ma i loro occhi erano rivolti ad Ermanno, occhi sgranati, atterriti e in cui una sola domanda era presente: “ E’ vivo? “
Il ragazzo si fece loro incontro con la sua carrozzella: “ E’ vivo, cosa credete? I medici lo tengono sotto osservazione perché ha un leggera lesione alla colonna vertebrale, ma non c’è nessun pericolo di morte.”
Ebbe l’impressione di veder ritornare un po’ di colore su quei due visi. Sì certo. La cosa importante era che fosse vivo. Ma lui aveva anche accennato al pericolo che correva Giulio. Però ormai lo sapeva: era meglio su una sedia a rotelle che morto. Ma era proprio vero ?
A questo punto i due signori lo subissarono di domande. Volevano sapere tutto: le ferite riportate, le fratture, se c’era trauma cranico, e infine, come era successo.
Ermanno non sapeva rispondere a quei particolari, se non in generale. Poi però iniziò a narrare ogni cosa sulla dinamica dell’incidente.   
Quando giunse a raccontare della moto che sbandava e di come Giulio avesse voluto innanzi tutto proteggere lui, i genitori ammutolirono nuovamente, e con la testa china, volevano nascondere ognuno le proprie lacrime.
“ Che ragazzo!” sbottò il padre “ che ragazzo, questo mio figlio! “
La madre adesso singhiozzava.
“Non pianga, signora, sa, non dovrà mai farsi vedere piangere da Giulio.” 
“Hai ragione Ermanno, ma adesso vorrei proprio vederlo.”
Stava ritornando l’infermiera di prima: “ Siete i genitori? Tra breve lo trasferiranno in ortopedia;
l’elettroencefalogramma ha dato esito positivo, al cervello non ha nulla.”
“E la colonna vertebrale?” fecero in coro i due signori.
“Appunto, va in ortopedia per essere del tutto controllato.”
Poco dopo, infatti, su di una lettiga spinta da un altro infermiere, apparve Giulio.
Era irriconoscibile, col viso tumefatto e i capelli tutti insanguinati. Appena però si accorse della presenza dei suoi genitori, si affrettò a salutarli facendo un tremendo sforzo:
“Ciao papà, ciao mamma.”
Quest’ultima fece: “ Giulio! “ E cercò di sorridere.
Via di corsa, l’infermiere lo sospinse verso l’ascensore: “Eroe, stiamo andando al reparto dei fratturati, ringrazia che non dobbiamo andare in rianimazione!”
Se dovevamo andare lì, mica me lo dicevi, giacché io non ti avrei sentito; pensò subito il ragazzo. 
Arrivarono in una specie di camerata. Bello quel posto! Si sentivano gemiti un po’ dappertutto. Adesso Giulio cominciava di nuovo ad addormentarsi. Stava benissimo quando dormiva. Era solo quando riprendeva coscienza che soffriva e avvertiva dei tremendi dolori ovunque. Ma perché si affannavano a tenerlo sveglio? Voleva dormire, e non pensare, non sapere. Anzi quando il fatto era successo, si era sentito improvvisamente come trasportato fuori da se stesso e si stava meravigliosamente. Tutti erano come lontanissimi e si affannavano attorno a lui senza sapere che stava benissimo e che avrebbe preferito che lo lasciassero in pace.
Nella corsia erano arrivati il padre, la madre ed Ermanno, ma Giulio dormiva.
Lo avevano lasciato con la lettiga in mezzo alla corsia, poiché non c’era più posto. Vicini a lui, vi erano due sposi novelli che avevano avuto un incidente d’auto appena partiti per il viaggio di nozze.
Entrambi si lamentavano. Poi arrivò la solita bella infermiera, e volle condurre la sposina nel reparto delle donne: “ No! Lasciatemi qui con mio marito!” cominciò ad urlare. Le grida erano altissime e disperate. Giulio aprì gli occhi.
Il padre se ne accorse e gli si avvicinò: “ Papà non preoccuparti! Me la caverò. Tuo figlio è coriaceo.” Ma una fitta di dolore lo attanagliò al torace e lo fece tossire mentre stringeva gli occhi.
“Stai zitto figlio, non parlare.” Prima di chiudere di nuovo gli occhi, il ferito si era accorto che il padre piangeva. Quel papà sempre scherzoso, che non piangeva mai, adesso pareva una fontana.
E perché? pensava Giulio, cosa aveva saputo? Di certo lui le gambe non le sentiva più. Anzi le sentiva, ma non riusciva a muoverle. E poi che dolere al petto! E alla schiena e alla fronte!
Eroe, lo avevano chiamato eroe, ma perché? Ah! Si, forse ora ricordava: aveva voluto a tutti i costi spingere di lato la carrozzella di Ermanno, e non aveva guardato più la moto che arrivava.
Accidenti a quel motociclista! Correva che pareva un razzo! 
Ma che dolore, porca miseria, che dolore! Però Ermanno stava benissimo, e questo lo faceva sentire importante. Il dolore stava aumentando. Più ritornava la coscienza e più aumentava il dolore.
Ma perché non lo avevano lasciato in santa pace! No, invece tutti attorno a svegliarlo. E adesso i dolori li sentiva lui. Tra poco sarebbero divenuti insopportabili, anzi già lo erano.
Cominciò a lamentarsi. Capiva poco, sapeva solo che quel dolore generale era tremendo. Sentiva un bruciore in tutto il corpo. Era come se avesse fuoco in testa. Voleva trattenere i gemiti, ma quelli uscivano da soli dalla sua gola.
La madre gli fu accanto: “ Giulio, tesoro, adesso chiamo l’infermiera.”
Di lì a poco sopraggiunse la solita infermiera con un sedativo.
Gli praticò un’iniezione e il ragazzo si tranquillizzò e si addormentò.
Ermanno chiese di poter restare con lui durante la notte, ma furono mandati via tutti. Anche la mamma dovette andarsene nonostante le sue insistenze.
L’indomani furono effettuati su Giulio tutti i controlli del caso e risultò che aveva entrambi i femori rotti, una clavicola e due costole fratturate e la famosa lesione alla colonna vertebrale. Di quest’ultima però, non si poteva ancora stimare l’entità e la gravità. Per giunta era meglio non farne cenno al ferito.
Non ci fu giorno, successivamente, che Ermanno non gli fosse accanto. Anche quando lo operarono per ridurre le fratture ai femori ed alla spalla, l’amico non lo lasciò mai. Sempre fuori dalla sala operatoria in attesa. Le operazioni andarono tutte benissimo.
Però aveva sempre dei fortissimi dolori alla schiena. I medici gli dicevano che ancora non poteva muoversi per via delle costole rotte.
Un giorno l’ammalato chiese a bruciapelo: “ Ermanno cosa ho alla schiena?”
La carrozzella era vicinissima al letto di Giulio: “ Hai le costole a pezzi e devi stare immobile affinché si rinsaldino”, però la voce di Ermanno tradiva la bugia.
“Perché allora mio padre e mia madre sono sempre tristi, in fondo, sta andando tutto bene.”
“Ma perché in ogni caso non è bello quello che ti è successo, che domande!”
“Ermanno, tu non hai mai saputo mentirmi, anche questa volta ci riesci male, dai, dimmi la verità, cosa ho alla colonna vertebrale?”
Com’è la vita? Bella o brutta? In questi casi è orribile. Come si fa a dire ad un amico: “ Guarda che forse resterai anche tu su una sedia a rotelle come me.”  
 “Giulio non domandarlo a me, chiedilo ai dottori.”
“Ho capito, ho qualcosa di brutto alla schiena “ ed Ermanno taceva.
“Anzi, ho qualcosa alla colonna vertebrale”, e l’amico continuava a tacere con la testa bassa. “No! “ urlò Giulio “ Non è possibile! No, no, no! “
Accorse la solita infermiera: “ Cosa è successo? Giulio che hai? “ e guardò l’altro, aspettando una risposta.
“Dice d’avere qualcosa alla colonna vertebrale.” Ermanno era pallidissimo e stringeva con le mani i braccioli della carrozzella.
“Hai ragione Giulio, i dottori hanno riscontrato una lesione alla colonna vertebrale.”
Emanuela, questo era il nome della ragazza, era seria e un po’ triste, ma non guardava Giulio con compassione. Questi cercò di sollevarsi dal letto e gridò: “ Anche io, vero? Anche io resterò su una sedia a rotelle?”
 “No, non è detto, la lesione non è grave”, ed Emanuela sorrideva.
Adesso erano rimasti soli e l’ammalato le aveva afferrato la mano.
“Stai mentendo Emanuela, vuoi illudermi.”
“No, e perché? per prenderti in giro? E’ vero, i medici affermano che non è grave, ma che bisogna attendere il decorso generale del tuo stato di salute ed il saldamento della lesione, solo allora si potrà dare un responso ufficiale.”
Il ragazzo voleva crederle, doveva crederle. Anche lui ora sorrideva. Con quei suoi denti perfetti e bianchissimi, Giulio, era proprio bello. Ma chissà perché, Emanuela preferiva Ermanno; sarà stata forse compassione o senso materno di protezione, ma l’infermiera provava una fortissima attrazione per il paraplegico e le sue simpatie erano rivolte sempre a lui, sempre verso di lui.
Ed Ermanno se ne era accorto. Si sentiva lusingato per questo. D’altra parte, come si faceva a restare indifferenti nei confronti di una così bella ragazza?
Qualche istante dopo, ricomparve Ermanno: “ Allora, Giulio, ti sei tranquillizzato? “
“Si, Emanuela è riuscita a tranquillizzarmi”, e l’ammalato la guardava con occhi adoranti. Questa era una novità. Fino a quel momento, Giulio l’aveva osservata solo con molta ammirazione.
Ma la ragazza gli si fece subito incontro: “ Hai visto Ermanno ?Adesso è sereno, ha capito che deve aspettare e pazientare.” 
Gli occhi di Giulio ora esprimevano un po’ di gelosia, poiché l’infermiera era stata molto sollecita e affettuosa nei confronti dell’altro.
Ma che strana faccenda! Il suo amico si stava innamorando di Emanuela. E lui? Lui non era già forse invaghito di quella ragazza dagli occhi nocciola e dolcissimi? Una ragazza come poche, sempre presente sul posto di lavoro, disponibile, che considerava il suo operato come una missione.
Per lei ci voleva un uomo sano e robusto. Ci voleva un tipo come Giulio, amante della vita, solare, bello, il suo Giulio insomma.
La giovane gli disse all’improvviso: “ Ermanno mi offri un caffè? “
Non poteva rifiutare: “ Si, certo! Giulio torniamo subito”, e gli occhi di quello erano ancora colmi di gelosia.
 Si recarono al bar dell’ospedale e consumarono due caffè. Emanuela adesso aveva proprio l’atteggiamento di una ragazza che vuol farsi corteggiare poiché prova simpatia ed attrazione per il ragazzo che l’accompagna. Ma come faceva a provare attrazione per un paraplegico come lui? Le strade del cuore sono proprio strane! 
Non si rendeva conto, però, Ermanno, di quanto fosse bello lui, proprio lui, con il suo mezzo busto aitante, il suo viso mascolino, non perfetto, ma molto attraente, con le sue fossette sulle guance che si accentuavano moltissimo non appena sorrideva. Ermanno sarebbe piaciuto a qualsiasi ragazza, se solo fosse stato sano e normale.
“Sai “ fece l’infermiera “ vorrei qualche volta uscire con te, prendere il posto di Giulio e accompagnarti in giro per la città? Ti piacerebbe? “
Caspita se gli sarebbe piaciuto!“Sì certo, mi piacerebbe, ma questo vorrebbe dire quasi sostituirti al mio amico.”
“Che centra! Lui resterebbe sempre l’amico che ti accompagna quando può.”
“Guarda che Giulio poteva sempre.”
“Ho capito, niente da fare! Preferisci la compagnia di Giulio alla mia.”
“Ma che dici, sarei un vero scemo o altro…….., se così fosse!”
“Allora quando usciamo?”
“Per ora verrò ogni giorno qui per Giulio, quando si saprà di lui qualcosa di sicuro, allora decideremo.”
“D’accordo allora, intesi, sono proprio contenta.”
E’ strana la vita, è propria strana! Quella ragazza così bella era contenta di uscire con un paraplegico!
Tornarono da Giulio, lo trovarono un po’ imbronciato, ma subito sollevato di rivederli.
“Ermanno sai che mi sento meglio? Mi sento più forte, sarà la continua vicinanza di Emanuela!”
Il ragazzo sorrideva scherzoso. In quel che diceva però, si intuiva l’esatta realtà.
“Questa sì che è una bella notizia! “ fece l’amico “ Vedrai che tra poco ti sentirai in grado di camminare.”
L’indomani Ermanno era puntualmente al fianco di Giulio.
“Come va? Come ti senti oggi?”
“Sempre meglio, davvero, sempre meglio. Spero che i medici presto si pronuncino, ed in senso positivo, ovviamente.”
“Succederà, vedrai che presto succederà”, ed Ermanno esprimeva, sinceramente, tutta la sua
solidarietà.
Arrivò Emanuela. Quando c’era Ermanno, la ragazza pareva materializzarsi all’improvviso.
Ma anche questo dava un po’ fastidio a Giulio. Che brutta cosa la gelosia! Uccide i sentimenti più nobili!
“Ragazzi, una bella notizia! Oggi rifaranno la radiografia alla colonna vertebrale di Giulio e, se la lesione si è saldata perfettamente, controlleranno tutto il resto. Insomma, le cose si stanno mettendo proprio bene!”
Il viso di Giulio esprimeva una gioia grandissima.
“Vieni Ermanno, oggi te l’offro io il caffè”. In pochi attimi invece, lo stesso viso si era rabbuiato.
Porca miseria! Ma come era possibile tutto ciò?
“Senti Emanuela, oggi non mi va di prenderlo, scusa sai, fai conto che lo abbia accettato.”
Arrivarono gli infermieri per trasportare Giulio in radiologia.
Emanuela dovette seguirli ed Ermanno restò solo a rimuginare. Sì, era così, il suo amico si era innamorato di quella bella ragazza.
Trascorse circa un’ora. Quindi ritornarono tutti. Giulio era radioso: la lesione, dopo tanti giorni di immobilità, si era perfettamente rinsaldata, e questo anche grazie alla sua giovane età e alla sua robustezza.
“Adesso rifaranno di nuovo tutti i controlli” disse Emanuela “ma le aspettative sono delle più incoraggianti.”
Oh! Finalmente! L’incubo stava per avere un epilogo. Ermanno se ne voleva andare, sentiva il bisogno di restare solo. Tra l’altro, voleva lasciare soli quei due.
“Dai, Ermanno, ora dobbiamo proprio andare a festeggiare”, ed Emanuela era proprio invitante ed affettuosa. Come dirle di no?  Ma tutta la gioia era scomparsa dal volto di Giulio.
“Va bene, un caffè e poi vado via. Giulio sono proprio contento. Tornerò più tardi.”
L’amico non rispose. Chissà, forse avrebbe voluto dirgli: “ Per me, puoi anche non tornare!”
Quel caffè, infatti, gli andò per traverso. Salutò la ragazza che lo guardava stranita e se ne andò.
Ritornò dopo venti quattro ore. Avevano già rifatto tutti i controlli e la notizia era strepitosa: non c’era nessun altro danno; di lì a pochi giorni, il degente avrebbe potuto iniziare la fisioterapia per la rieducazione degli arti inferiori. 
Abbracciò l’amico che era ritornato sereno e sorridente. A questo punto, si sentì abbracciare da Emanuela: “Hai visto Ermanno? Tutto a posto! Ve lo avevo detto io!”
Il viso di Giulio era ritornato turbato.  Da quel momento in poi il suo stato d’animo sarebbe dipeso dalle azioni e dal comportamento della ragazza.
Ermanno restò con loro tutto il giorno, ma aveva preso la sua decisione: non sarebbe più tornato in ospedale.
Verso sera abbracciò l’amico fortemente. Quella, sarebbe stata l’ultima volta che lo vedeva, ma Giulio non lo sapeva: “ Ciao Ermanno, ci vediamo domani.”
“Sì certo”, mentì e diede la mano ad Emanuela. Anche lei non l’avrebbe più rivista. La ragazza avvertì qualcosa di strano in quel saluto, ma non disse niente.   
Nei giorni successivi lo avrebbero cercato, lo sarebbero subissato di telefonate, ma lui si sarebbe sempre negato.  Alla fine si sarebbero stancati, e chissà, forse avrebbero anche capito! 
Fu fuori, all’aria aperta, con la sua carrozzella, solo. D’ora in poi sarebbe stato sempre solo, senza Giulio. 
Portava avanti la sedia a rotelle con la morte nel cuore. Non si era mai sentito così disperato. Aveva tanto sofferto per la sua condizione, ma la vicinanza dell’amico era stata sempre il miglior toccasana.
All’improvviso si accorse di avere di fronte il mare: no, non era solo! C’era il mare! Ci sarebbe stato per sempre il mare! Il suo mare, il mare di Palermo!

                                                                             

                                                                                  FINE