Erinna (secolo IV a.C.) Sappho ed Erinna nel Giardino di Mitilene, di Simeon Solomon
Questo
è d’Erinna il soave lavoro: lavoro non lungo, ch’è
d’una giovinetta diciassettenne appena, eppur
vince molti altri. Se l’Ade sì presto rapita non
l’avesse rapita, più celebre chi mai sarebbe stato? (dall'Antologia Palatina)
Erinna
pochi versi compose, non fu poetessa loquace;
ma nei pochi versi le Muse accolse. Perciò
dalla memoria non cade, no, sotto l’ombrosa ala
rimane oppressa della livida notte. Noi,
dei novelli poeti miriadi in numeri, andiamo o
passeggero, a mucchi marcendo nell’oblio. Del
cigno vale più la gracile voce che il lungo gracchiar dei corvi dalle nubi di primavera. (dall'Antologia Palatina)
La poetessa dorica Erinna, idolatrata dagli Alessandrini, paragonata a
Saffo e ad Omero, ricordata nel Lessico di Suida (lessico greco
ed enciclopedia generale risalente all’età bizantina, fonte preziosa
per la conoscenza dell’antica storia della letteratura classica) come
contemporanea di Saffo, probabilmente per l’affinità del canto, ma
vissuta con molta probabilità verso la fine del quarto secolo, trascorse
la sua vita nell’isoletta di Telos, presso Rodi. Smaniosi
i bianchi cavalli sulle zampe
dritti
con grande strepito
si
levavano; il suono della cetra
in
eco batteva sotto il portico vasto della corte.
O
Bàuci infelice, al ricordo gemendo io piango!
Nel
mio cuore ancora hanno calore
queste cose della fanciullezza, e quelle che di gioia
non furono cenere sono ormai. Riverse le bambole
sui
letti nuziali stanno e presso il mattino
cantando
più non reca la madre
il
filo sulla rocca e i dolci di sale cosparsi.
Paura
ti fece da bambina la strega
che
ha grandi orecchie e su quattro
piedi
s'aggira movendo intorno lo sguardo.
E quando, o diletta Bàuci, sul letto salisti dell'uomo
senza
memoria di quello che bambina ancora
avevi
udito da tua madre, Afrodite
pietosa
non fu della tua dimenticanza.
Per
questo ora io piangendoti non t’ abbandono
né
i miei piedi lasciano la casa che m'accoglie,
né
voglio più vedere la dolce luce del giorno,
né
lamentare con le chiome sciolte; ho pudore
del
dolore che cupo il volto mi sfigura.
(Erinna)
Francesca Santucci
|