Elizabeth Barrett Browning

(1806-1861)

 

 

                       

XIV)

E se mi devi amare per null’altro sia

che per amore. Non dire "L’amo per il

suo sorriso, il suo sguardo, il modo

gentile di parlare, per le sue idee

che si accordano alle mie e che un giorno

mi resero sereno". Queste cose possono

Amato, in sé mutare o mutare per te.

Così fatto un amore può disfarsi.

E ancora non amarmi per la pietà che

le mie guance asciuga. Può scordare

il pianto chi ebbe a lungo il tuo

conforto, e perdere così il tuo amore.

Ma amami solo per amore dell’amore,

che cresca in te, in un’eternità d’amore!

 

I love your verses with all my heart, dear miss Barrett…Era il 10 gennaio del 1845 quando il poeta Robert Browning scrisse la prima ardente lettera nella quale dichiarava tutta la sua ammirazione ad Elizabeth Barrett, la poetessa inglese definita in patria la Shakespeare al femminile. Cominciò così la loro romantica storia d’amore, che sembra uscire direttamente dalle pagine di un romanzo ottocentesco, con la corrispondenza durata un anno, il padre ostile e severo, il matrimonio celebrato segretamente, la fuga in Italia, la nascita del figlio.
Fino ad allora, per circa quarant’anni, la vita di Elizabeth, in seguito ad una caduta da cavallo, alla tragica morte per annegamento del fratello, ad una malattia di cui mai ben chiarite furono le cause, forse fisiche, forse psicologiche, era trascorsa in modo grigio ed immobile, sotto la tirannia paterna, in una strana dimora fiabesca, fra pareti silenziose, in una stanza buia dalle imposte ben serrate, tra medicine e libri impolverati, con la sola compagnia dell’inseparabile cagnolino Flush e dell’appassionato bisogno di leggere e studiare, curiosamente incoraggiato e consentito dall’austero padre.
Quando giunse quella prima lettera fu come un’esplosione di luce in quella casa tetra, in quella stanza buia, in quel cuore avvezzo all’ombra e alla solitudine: la passione s’innescò e brillò fino ad esplodere, e così la poetessa ammalata, famosa eppure chiusa nel cerchio del suo isolamento, uscì alla luce e assaporò la felicità inattesa ed improvvisa.
Si sposarono segretamente Elizabeth e Robert, poi fuggirono in Italia e si stabilirono a Pisa. Trascorsero insieme 15 anni, in splendida armonia, quasi sempre a Firenze dove poi si erano trasferiti, scrivendo entrambi, lei prendendo molto a cuore la causa indipendentista italiana e componendo diverse poesie in tema, con il proposito di far conoscere anche nella sua terra d’origine la situazione italiana.
Morì a Firenze nel 1861 e fu seppellita con tutti gli onori nel cimitero degli inglesi, dove ancora riposa.
Scrisse molto Elizabeth, cominciando addirittura ad 8 anni, pubblicando per la prima volta a 13 e collaborando a riviste e circoli letterari; scrisse ballate, poesie ispirate al quotidiano, componimenti appassionati, con i quali voleva incidere sui costumi sociali del tempo, e d’impegno sociale, contro l’oppressione straniera in Italia, in un bisogno intimo di espressione, di comunicazione, di denuncia, ma i suoi versi più belli restano quelli dedicati al suo amore per Robert.
Vale davvero la pena leggere e rileggere i suoi Sonetti dal portoghese (così chiamati forse perché portoghese era il poeta cinquecentista a lei tanto caro ), scritti parallelamente alle lettere scambiate con Robert (che chiamò poi sempre la moglie my little portuguese) e da lei conservati fin dopo il matrimonio, versi d’amore intensi e rivoluzionari, perché per la prima volta la donna diveniva in poesia soggetto attivo e dominante e l’uomo era trasformato in oggetto d’amore al quale indirizzare con audacia le pulsioni e i desideri, e di fronte al quale affermare e rivendicare il proprio diritto all’amore.
Con un linguaggio colto eppure semplice, che ben coniuga eleganza e raffinatezza, in preziosa alchimia di classicità e suggestioni romantiche, i versi di Elizabeth esprimono al meglio ancora oggi l’immaginario femminile, riuscendo a trasmettere con intatta efficacia i desideri che pulsano nei cuori delle donne e l’amore che sbocciò nel suo cuore oppresso dalla lunga solitudine.

( pubblicato  sulla rivista di letteratura ed arte  "Eventual-mente", gennaio/aprile 2002)

Francesca Santucci