IL LAGO, LE STAGIONI, LA MORTE NELLA POESIA DEL PRIMO SERENI

di Eleonora Bellini

 

Siamo abituati a pensare la sponda lombarda del lago Maggiore, la sponda orientale, come  quella che può contare su di una storia meno illustre rispetto alla sponda piemontese, l’occidentale. Quest’ultima nell’Ottocento vedette soggiornare o rifugiarsi sulle proprie rive, nei propri borghi,  presenze eminenti come quelle di Antonio Rosmini, di Alessandro Manzoni, di Ruggero Bonghi, della Regina Margherita, per fare solo qualche esempio italiano e per tacere dei grandi viaggiatori, poeti e scrittori che dal Nord scesero affascinati verso queste sponde per cercarvi i giardini di un mediterraneo eden in miniatura. E lo trovarono.
La sponda lombarda, che rimase allora un poco più in ombra, costituì poi nel Novecento il paesaggio ideale ed il luogo affettivo, il panorama limpido ed il volto speculare, della poesia di Vittorio Sereni.
Luino è la patria di lago del poeta, che vi nacque nel 1919 da padre campa­no e da madre luinese, vi frequentò la scuola elementare, vi tornò spessissimo da adulto per confortarsi di vecchie amicizie e per trascorrer­vi le vacanze .
Luino, posta nei pressi del confine svizzero, ed in quegli anni importante stazione ferroviaria sul tracciato di una delle più antiche strade ferrate del nord-ovest dell'Italia unita, la Novara - Pino prossima in quel punto a varcare la frontiera ed in quel punto soggetta alle soste, ai controlli, ai patemi che sempre comportano le operazioni doganali, Luino appariva al viaggiatore ed al poeta non semplicemente come cittadina di frontiera, ma anche come punto di partenza per vagheggiare, e magari sco­prire e raggiungere, realtà lontane, già mitteleuropee.
Il Lago Maggiore, da parte sua, all'altezza di Luino non conosce ormai più le ampiezze verdazzurre che più a sud allargano gli orizzonti del viaggiatore dirimpettaio del golfo Borromeo e del profilo rosato delle isole e dei giardini dalle essenze rare e lussureggianti. A Luino il lago s'inabissa tra pareti di roccia grigia, metallica, altissima, che prelude alla pietra viva dei sentieri montani tor­tuosi ed ardui, dei valichi alpini, difficili e ciò nonostante incessantemente per­corsi da viandanti, convogli, contrabbandieri. A Luino le acque riflettono più spesso i lampi d'acciaio della pietra dei monti che il mobile azzurro dell’acqua e del cielo.
Così la prima raccolta poetica di Sereni, Frontiera, del 1941, reca già nel titolo tutta la sintesi di precarietà ed avventura, di fascino e di inquietudine, tipica della sua città-patria, città di confine e perciò insieme fenditura e ponte tra genti, lingue, culture, paesi, acque.
Inverno a Luino, lirica che si chiude con la parola eponima, frontiera, è apostrofe affettuo­sa alla città, semplice nella scansione dei ritmi quotidiani, nostalgica e rassicurante insieme:

Ti distendi e respiri nei colori.

Nel go/fo irrequieto,

nei cumuli di carbone irti al sole

sfavilla e s'abbandona

l'estremità del borgo.

Colgo il tuo cuore

se nell'alto silenzio mi commuove

un bisbiglio di gente per le strade. 

(...)

Di notte il paese è frugato dai fari,

lo borda un’insonnia di fuochi

vaganti nella campa­gna,

un fioco tumulto di lontane

locomotive

verso la frontiera.

Il lago, silenzioso eppure brulicante di vita, anch'esso un poco frontiera tra realtà e sogni, tra terra e cielo, tra spazi dell'uomo e spazi dell'avventura, insinua inquietudini al calar della sera, dentro la sosta tranquilla di un gruppo di amici riunitisi ad oziare in compa­gnia, come in un romanzo di Piero Chiara:

Improvvisa ci coglie la sera.

Più non sai

dove il lago finisca; 

un murmure soltanto

sfiora la nostra vita

sotto una pensile terraz­za.

 Le acque del lago non offrono scampo all'immaginazione di chi vagheggi un orizzon­te lineare ed infinito come quello che si può contemplare sulla riva del mare: qui l'altra sponda è la dirimpettaia vicina - lontana, curiosa e ritrosa, è la realtà speculare, così nelle attrattive come nelle asprezze, è la perfetta percezione dell’ineluttabile, lento rovinare delle cose sotto l'azione distruttiva del tempo. Lo specchio d'acqua chiusa, appena ondu­lata o quasi ferma se sopra non vi spira  il vento, offre al poeta Sereni, l'occasione per immaginare navigazioni sconfinate, ben oltre il semplice spazio geografico, ben oltre le ore quotidiane, verso quel confine (quella frontiera), misterioso e negato, che separa la morte dalla vita. Come in Strada di Zenna:

Ci desteremo sul lago a un’infinita

navigazione. Ma ora

nell'estate impaziente s'allontana la morte.

E pure con labile passo

c’incamminiamo su cinerei prati

per strade che rasentano l’Eliso.

(...)

Sereni si rivolge qui ad una giovane amata insieme alla quale immagina di varcare il con­fine dell'ultraterrena sede dei saggi e dagli elet­ti. La morte si contrappone all'estate (così anche nella lirica “Verano e solstizio” in Stella variabile, quarant'anni dopo: “Perché, tu che sai tutto di Roma, / lo chiamate così quel vostro cimitero / con quei nome spagnolo che significa estate?”) e si fa più lontana; poi torna improvvisa a cospargere i prati di cenere, a spegnere il riso delle acque con il plumbeo cadere delle nebbie, ad annerire il cielo con la nuvola di fumo lan­ciata da una locomotiva diretta oltre confine, e tuttavia perdutasi nell’indugiare un poco al di qua della frontiera, offuscando l'orizzonte del poeta e dell'amata, che si sentono sbalzati dai promettenti chiarori dell'estate ai grigiori di mete quotidiane, fino alla meta senza ritorno, la morte turbinosa di ceneri accecanti:

(. . .)

ci travolge la cenere dei giorni(...)

Ma torneremo taciti a ogni approdo.

Non saremo che un suono

di volubili ore noi due 

o forse brevi tonfi di remi

di malinconiche barche.     

I tonfi dei remi che suonano nel silenzio trasportano il lettore al lago invernale: liberato dalle frotte dei turisti, dai giochi dei bambini, è un lago sospe­so tra tonfo e silenzio e successivo tonfo, tra i rintocchi delle ore dai campanili e il pervicace mutismo delle porte chiuse, un lago in attesa che vive solo dell'eco di tutti i tonfi e di tutti i tocchi e soprattutto dell'eco ad libitum dei silenzi.
L'inverno sul lago ritorna nella lirica Dicono le ortensie. E’ una stagione minutamente raccontata, quasi minutamente ritratta, è una stagione attesa, desiderata e profondamente attesa, quasi liberatoria dopo i fasti estivi e le malinconie autunnali:

Dicono le ortensie:

è partita stanotte

e il buio paese s'é racchiuso

dietro la lanterna

che guidava i suoi passi-

dicono anche: - E’ finita l'estate, è morta in lei

e niente ne sapranno i freddi

verdi astri d'autunno.-

Un cane abbaiava all'ora fonda

alla pioggia all'ombra del mulino

e la casa il giardino

si vela di leggera umidità.

Frontiera avrà una successiva edizione nel 1942, un anno dopo la prima, mentre il poeta si accingeva a partire per la guerra di Grecia. Sereni scrisse in quel momento nella prefazione alla raccolta:  l'auto­re sa anche che questo è il suo unico libro, (…) un andare lontano e mettere in gioco la propria sorte di creatura.
Noi sappiamo che il poeta tornò dalla guerra e scrisse ancora, e molto, sempre in silenzioso accordo con chi, resistendo ai monsoni, è rimasto diritto: scrivendo versi che potessero salvare, per sé e per gli altri, le ragioni della poesia: che sono poi le ragioni dell' uomo, come osservò Dante Isella concludendo la presentazione all'edizione di Tutte le poesie
[1] per i mondadoriani “poeti dello specchio”.

 

 

Eleonora Bellini

 


 


[1] V.SERENI, Tutte le poesie, Milano 1986. Ma si può leggere anche la raccolta, molto utilmen­te commentata: Poesie. Una antologia per la scuola a cura di Dante Isella e Clelia Martignoni, Luino, 1993.