|
Quale può essere il
diritto, che si attribuiscono gli uomini, di trucidare i loro simili?Come
mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello
del massimo fra tutti i beni, la vita?
Questo l’interrogativo fondamentale posto già dal Beccaria, convinto
assertore delle riforme giuridiche e assolutamente contrario alle
arbitrarietà delle leggi, nel trattato "Dei delitti e delle pene",
pubblicato nel 1764, espressione piena dell’Illuminismo lombardo che, in
ossequio ai dettami del secolo dei lumi, proponeva il rinnovamento civile
e letterario della società, il riesamino di tutti gli aspetti della
civiltà, compreso quello della procedura penale, sotto la guida della
ragione.
Il Beccaria, che sentiva fortemente i diritti dell’uomo, sosteneva il
diritto alla vita e alla dignità dell’individuo e condannava l’uso e
l’abuso della tortura e della pena di morte, nell’ottica di una
trasformazione del diritto penale. Basilare il concetto di pubblica
protezione: la società garantisce la protezione dei suoi componenti
attraverso le leggi, ciascun cittadino rinuncia ad una piccola parte di
libertà affinché sia tutelata la libertà della collettività, ma è
impossibile che, in quella parte piccolissima di libertà alla quale si
rinuncia, sia compresa anche la delega a disporre della vita altrui. La
legge non può ignorare il dovere morale e religioso per cui non bisogna
uccidere.
In tutto il libro sono espressi argomenti a favore della certezza del
diritto, della necessità di riformare il diritto penale non vendicandosi
attraverso l’omicidio legalizzato ma prevenendo i delitti piuttosto che
reprimendoli, contro la tortura e la pena di morte che non solo è inutile
ma dannosa per lo stato.
Ancora oggi, pur volendo esulare da un coinvolgimento solo emotivo, dalla
pura indignazione per l’uso consentito di un simile strumento punitivo,
che non esita a sacrificare donne, invalidi e malati, volendo
semplicemente prenderlo in esame, come trecento anni fa, guidati
esclusivamente dal lume della ragione, non può non indignare e non può
che porre contro la morte di Stato.
Caino è il carnefice, ha sbagliato, va punito; lo Stato, eletto in
volontà democratica, in rappresentanza di tutti (gli stati non
democratici come quelli islamici arrivano addirittura a considerare la
pena di morte volontà sovrannaturale, "precetto divino") si
pone come repressore della criminalità, paladino della vittima, difensore
di Abele, dunque esso stesso Abele, ma può essere Abele chi si macchia
dell'eguale crimine?
Attuale più che mai risulta essere, dunque, il discorso contro la pena di
morte nel nostro secolo dove molti stati, pur proclamandosi democratici, e
pur essendo stato ormai ampiamente dimostrato che tale strumento non
funziona nemmeno come deterrente contro il crimine, continuano a tollerare
e a consentire l’esecuzione capitale, attraverso camere a gas, iniezioni
letali, impiccagioni, fucilazioni, lapidazioni e decapitazioni, violando
sistematicamente e con premeditazione il più elementare dei diritti umani:
il diritto alla vita!
classici
|
|