Il soffio del
divino nel respiro
di Marguerite Yourcenar
"… Sono
in un deserto che è circondato da
attese infrante di Dio. Ma in
verità vi dico,
nel deserto, qui un tempo deve
esserci stato
Dio".
Ingeborg Bachmann
"… Ci deve ben essere un
paradiso da
qualche parte".
Marguerite Yourcenar
"L’essere fugge, l’io è
diviso; farsene un’immagine globale è pura
illusione".
Ora aforistica e asciutta, ora
grondante di fascinosi preziosismi, la scrittura di
Marguerite Yourcenar lascia intravedere la
fisionomia di una donna che dalla coscienza del
proprio essere multiforme deriva la libertà di
mostrarsi autoritaria e passionale, tetragona e
volubile, altera e vanitosa. Diffidente e
insofferente verso ciò che si cristallizza in forme
univoche, l’autrice de L’opera al nero
esibisce, non senza orgoglio, la sua appartenenza a
diverse culture, diversi paesi, diverse religioni.
"Pellegrina e straniera" per
temperamento, scorge nella coesistenza pacifica di
voci e posizioni antinomiche la possibilità di
screditare quei pregiudizi e stereotipi che
imbrigliano il libero divenire del pensiero in
categorie interpretative fisse e immutabili. Non a
caso, i suoi personaggi più amati, l’imperatore
Adriano e l’alchimista Zenone, incarnano appieno
quel nomadismo spirituale che la induce a
privilegiare la mobilità agli approdi definitivi, il
procedere erratico alla stasi.
Quanto detto, di sicuro non
attenua l’imbarazzo di fronte alla sostanziale
complessità dei testi yourcenariani, il cui
innegabile rigore resta comunque "aperto
all’irrazionale; è anzi addirittura probabile che,
senza di esso, Marguerite Yourcenar, non
scriverebbe". Così il critico Matthieu Galey che,
pur riconoscendole "un’architettura intellettuale
solidissima", non manca di evidenziare la singolare
attenzione accordata dalla romanziera a esperienze
di segno opposto, spesso confinanti con quel
indecifrabile quid che permea la realtà e
che, non conoscendo la barriera dello spazio e del
tempo, partecipa ad un ordine superiore.
Senza rinnegare le origini
cattoliche della sua educazione, e pur tuttavia
estranea a "quel cattolicesimo che si esibisce alla
messa delle undici", la scrittrice matura le
distanze dalle "tre religioni del Libro", ossia il
giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo,
ravvisandone l’"impostura" non già nel loro
dogmatismo di fondo quanto nella rivendicazione, a
suo dire, insolente di un rapporto diretto ed
esclusivo con Dio tanto da affermare che "c’è la
tentazione del fanatismo, e tutto l’orrore che ne
consegue, e che attraversa la storia: è stata una
tentazione particolarmente forte, bisogna
riconoscerlo, presso i musulmani e i cristiani,
persuasi di essere i depositari della verità di un
Dio unico; ed è infine una tentazione sempre acuta
in tutti i settarismi laici di oggi. E’ sempre
pericoloso detenere in esclusiva una verità o un Dio
o un’assenza di Dio"(da M. Yourcenar, Ad occhi
aperti. Conversazioni con Matthieu Galey).
All’arroganza di ogni presunta
"vera religio" che, monopolizzando la produzione del
discorso religioso, cede alla rovinosa tentazione di
dettare legge e di chiedere adesione in ragione
della Parola rivelata, la Yourcenar oppone la
feconda molteplicità delle forme del sacro ed
esprime il suo rammarico per quegli spiriti che
sarebbero arrivati all’assoluto se solo non avessero
imboccato quei sentieri che invece "finiscono
fatalmente nell’ingranaggio della Chiesa".Riferendosi esplicitamente
"all’ossessione cristiana del peccato della carne" e
alla questione relativa al controllo delle nascite,
ella rintraccia nel cattolicesimo, in particolare,
una latente intolleranza che, supportata dal preteso
possesso di verità inconcusse, in molti casi si
traduce nell’incapacità, o se si preferisce, nella
mancata volontà di adeguarsi alle mutate condizioni
del vivere umano. E ancora dichiara:"…sono
infinitamente riconoscente al ministro protestante
di Northeast Harbor per aver celebrato una funzione
in memoria di Grace Frick (la traduttrice, presto
divenuta amica e segretaria, con cui Marguerite
convisse per quasi quarant’anni), che non
apparteneva ad alcuna Chiesa, con dei testi scelti
da me e che andavano dal Discorso della montagna
e dal Cantico delle creature alle meditazioni
sulla vita e sulla morte del filosofo taoista
Chuang-tzu, e ai "quattro voti buddisti" dedicati
allo studio e alla carità. Non sono affatto sicura
che il sacerdote di una parrocchia cattolica avrebbe
fatto altrettanto" (da M. Yourcenar, Ad occhi
aperti, Conversazioni con Matthieu Galey).
Avvalendosi dei testi cruciali
di più tradizioni religiose, la scrittrice francese
rivela una notevole apertura mentale nel consegnare
la polifonia del proprio sentire a espressioni
spirituali differenti che, nell’orizzonte di un
dialogo ideale, si incontrano al di là di ogni
possibile contraddizione.
Non a torto, definisce
religiose le basi della sua cultura, si rivela
scrupolosa nel cogliere ciò che la ragione diserta e
sensibile al fascino emanato dai riti e
dall’iconografia sacra tanto da riconoscere nel
Cristo oltraggiato e offeso ogni uomo vilipeso,
violato nell’intimo. Ad Eric von Lhomond, voce
narrante de Il colpo di grazia farà dire: "la
crudeltà è un lusso da oziosi", condannando con tono
imperioso la gratuità del male e confermando
implicitamente la necessità di coltivare
l’inclinazione alla carità e l’attenzione verso gli
altri esseri sì da infrangerne la solitudine e
condividerne l’eventuale miseria.
Dalla precoce propensione al
misticismo, a suo giudizio fomentata da un
particolare corredo di letture, la convinzione che
solo un’adesione estatica e contemplativa a ciò che
ha esistenza al di fuori del sensibile impedisce che
una confessione si risolva in un codice
comportamentale desunto da un testo sacro. Al santo
ascrive, difatti, il merito di aver sublimato la
fede in virtù della sua eccezionale capacità di
conoscere e comprendere Dio attraverso
l’immaginazione, facoltà che gli consente di
annullare la distanza e di attraversarne l’animo. In
Gioacchino da Fiore e in Francesco d’Assisi
individua "due maniere di ripetere Gesù"; negli
antichi santi d’Irlanda, in particolare in san
Colombano, il concretarsi di un prodigioso accordo
fra il sentimento della trascendenza e quello della
natura.
Avvertendosi in profonda
sintonia con l’universo, Marguerite Yourcenar esalta
la cultura classica greca quale autorevole prototipo
di un’umanità armonica, serena e pacificata con una
natura visitata da continue epifanie e abitata dagli
dei. Ciò le consente di proiettare situazioni
attuali su sfondi passati e di imprimere un moto
circolare al tempo, quel "grande scultore" in cui
ella confida al punto da rifiutare la chimera di un
destino prescritto, certa della possibilità che
l’uomo ha di mutarne il corso.
Al lettore viene così
consegnata una visione rigorosamente laica ma
intessuta di profondissima religiosità, nel cui
orizzonte attingere nuove aurore, alle cui sponde
recuperare la risacca di un pensiero nomade, sempre
fiero e ostinato nel vantare l’orgoglio della sua
forza intellettuale.
Completato "il giro della
prigione" e accordata complicità alla morte,
Marguerite Yourcenar farà incidere sulla sua tomba:
"Piaccia a Colui che forse è di adeguare il cuore
umano alla dimensione di tutta la vita", affidando a
quel "forse" la protervia delle sue titubanze, e a
Dio l’ultima parola.
Daniela Pantaleo
Articolo pubblicato su
Leggendaria. Libri Letture Linguaggi, n.37
febbraio 2003 col titolo redazionale Il soffio
del divino nel respiro di Marguerite Yourcenar.
Bibliografia essenziale
Josyane Savigneau,
Marguerite Yourcenar, trad. it. di O. Del Buono,
Einaudi, 1991.
Marguerite Yourcenar, Ad
occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey,
trad. it.
L. Guarino, Bompiani, 1999
Eadem, Il tempo, grande
scultore, trad. it. di G. Guglielmi, Einaudi,
1994.
Eadem, Maria Maddalena o
della Salvezza, in Fuochi, trad. it. di
Maria L. Spaziani, Bompiani, 1999.
Eadem, Saggio di genealogia
del santo in Opere. Saggi e memorie,
trad. it. di F. Ascari, Bompiani, 2001.