Fu nel 1865, a 25 anni, che Monet,
uno dei capiscuola dell’Impressionismo, notoriamente considerato il
movimento da cui si è originata l’arte moderna, che prese il nome
proprio dal suo quadro intitolato Impressione-Sole nascente, istancabile ricercatore di
effetti di luce, incarnazione dell’artista puro, vero impressionista
assorto ore ed ore nella contemplazione della natura per ricercare
effetti di luce insoliti da ricreare sulla tela con pennellate vivide,
luminose ed ampie, intraprese la composizione di quest’immensa tela,
come omaggio e sfida al suo maestro Manet.
Infatti due anni prima Manet aveva presentato al "Salone dei rifiutati" un dipinto che rappresentava una donna nuda in un prato, durante un
picnic in compagnia di due soli uomini, che aveva scandalizzato
moltissimo i critici ed i benpensanti ed impressionato fortemente il
giovane Monet.
L’allievo, però, decise di non rispondere al maestro sul suo stesso
terreno, ed interpretò il tema in modo più personale e pudico, ma la
composizione di questo quadrò gli costò fatiche ed incertezze poiché,
al momento di esporla, disorientato da qualche critica del pittore
Courbet, non gli piacque più e la relegò arrotolata in una soffitta.
Durante le vacanze pasquali, a Fontainebleau, aveva scoperto un
delizioso villaggio, Chailly-en-Bière, dove poi trascorse molte estati
in compagnia dell’amico e collega Bazille, e fu qui che decise di
ambientare la sua Déjeuner sur l’herbe, la Colazione sull'erba..
La tela, che misurava 4,60
metri di altezza per oltre 6 metri di lunghezza, era troppo grande per
essere dipinta en plein air, e così, dopo numerosi studi sul posto, fu
eseguita nel suo atelier.
In realtà il dipinto non vide mai l’Esposizione perché Monet,
scoraggiato appunto dalle critiche di Courbet, che scherniva la sua
decisione di dipingere il più possibile nella brillante luce solare,
smise di lavorarvi e abbandonò lo studio di Bazille, lasciandogli le
sue tele in pegno, compresa la Colazione, per l’affitto non pagato,
per quasi vent’anni.
La parte sinistra e i due frammenti rimasero nella casa di Giverny fino
alla morte dell’artista, dopo di che andarono persi, ma furono poi
ritrovati i due frammenti e uno schizzo molto accurato dell’intera
composizione, conservato a Mosca, dai quali si può evincere che Monet
partiva dallo studio del paesaggio trattando le figure più
sommariamente delle foglie, degli alberi e delle chiazze di luce,
riuscendo a trasmettere un’impressione di aria che circola nella scena
con una luce limpida.
L’opera, ripresa da Monet al proprietario della casa di Argenteuil,
dov’era in affitto, nel 1926 passò al figlio Michel, poi fu
acquistata dallo Stato francese nel 1987 ed esposta al museo d’Orsay.
Fu nel 1884, dunque, che Monet recuperò la Colazione; riguardandola,
trovò deteriorate le parti laterali, ma il centro manteneva una
freschezza di colore ineguagliabile, allora la tagliò per fare della
parte centrale un unico dipinto.
In un gran prato, dopo la colazione all’aperto, un gruppo di signore e
di gentiluomini chiacchierano piacevolmente. Gli abiti delle donne,
abbagliante quello della figura femminile sulla destra, il verde degli
alberi, la luce diffusa, ne fanno una composizione eccezionale, che
suscitò nel pubblico impressioni opposte, di stupore, d’ammirazione,
di scherno, poiché esulava dai canoni tradizionali della pittura, ma
che oggi desta soltanto ammirazione
Per ben quattro dei personaggi del dipinto appare chiaro che fu Bazille
a posare, mentre un altro amico di Monet, il pittore Lambron, servì da
modello per altre due figure. Per i personaggi femminili la modella fu
Camille, che poi divenne sposa di Monet e morì dopo una lunga malattia;
nell’uomo con barba, di età matura, seduto di fronte alla tovaglia,
molti hanno voluto vedere il grande Courbet.
La colazione sull’erba con i suoi colori chiari, il
raggruppamento casuale e la semplificazione del tratto, è un tributo a
Manet, ma ricorda anche Courbet nel trattamento solido e
strutturato. Punti di forza del quadro, come di tutta la pittura di Monet,
sono la pratica dell’en plein air, il dipingere all’aperto,
direttamente sul posto piuttosto che in studio (pratica di cui fu
strenuo assertore, tanto che, per dipingere un fiume, arrivò a farsi
costruire un atelier galleggiante), e il ruolo fondamentale assegnato
alla luce (pare che Monet non dipingesse nemmeno le foglie dello sfondo
senza le opportune condizioni di luce).
Monet morì il 5 dicembre del 1926, quasi cieco, nella sua bella casa di
Giverny, immersa nel verde delle serre che aveva fatto costruire per i
suoi fiori prediletti, gelsomini, crochi, iris, anemoni, papaveri,
peonie, avvampanti di colori dallo zafferano al vermiglio al blu; strano
destino per un pittore che aveva amato tanto le luminosità e i colori,
che un giorno aveva fatto esclamare a Paul Cézanne è soltanto un
occhio, però, mio Dio, che occhio!, morire nel buio della cecità
quasi totale.
Francesca Santucci