Caravaggio non fondò alcuna scuola, non ebbe allievi
diretti, ma di così grande impatto fu la sua pittura,
che improntò la pittura del Seicento ed ebbe numerosi
imitatori, in Italia e all’estero; fra i seguaci si
annovera anche una donna, Artemisia Gentileschi, la cui
casa l’Artista frequentò, come amico del padre,
divenendo per lei fonte di stimoli artistici.
Personalità di grande incisività, professionalmente
indipendente, Artemisia, figlia di Orazio Gentileschi,
uomo chiuso e poco comunicativo, pittore tardo
manierista, che sviluppò una personale versione dello
stile del Caravaggio, fu pittrice ricca di talento e,
contrariamente al padre, dal quale imparò il mestiere,
si mantenne sempre fedele alla lezione del Maestro.
Attiva a Roma, a Firenze e a Napoli, ebbe contatti
con pittori famosi come Velázquez, oltre a vari
caravaggisti, e committenti illustri, come Cosimo II
de’ Medici e il re Carlo I.
Nata a Roma l’8 luglio 1593, fin da piccola mostrò
subito straordinarie capacità pittoriche, rilevando
piglio aggressivo e coraggio di rappresentare in modo
personale temi usuali, per questo fu avviata agli studi.
Nel 1605, a soli dodici anni, restò orfana della
madre, e dovette occuparsi dei fratelli e della gestione
della casa, nell' ambiente rozzo e grossolano dei
quartieri popolari di Roma, ma continuò a frequentare la
bottega paterna.
A diciotto anni fu violentata da Agostino Tassi, suo
maestro di prospettiva (ed amico di bevute del padre),
un personaggio equivoco, già coinvolto in atti di
libidine e processi per stupro, che subì otto mesi di
carcere prima di essere prosciolto dall'accusa.
Artemisia si trovò coinvolta in spietate malignità,
delle quali non si liberò per tutta la vita, continuando
ad essere considerata una donna licenziosa, e durante
il processo, per accertare più rapidamente la verità,
fu anche sottoposta alla tortura dei cosiddetti "sibilli",
piccole corde che serravano le dita.
In seguito all'umiliazione subita, terminato il
processo, fu costretta ad abbandonare Roma, ad
accettare il matrimonio riparatore con Pietro Antonio
di Vincenzo Stiattesi, un uomo più anziano di lei, e a
trasferirsi a Firenze, dove fu introdotta alla corte di
Cosimo II; qui cominciò subito a lavorare, con passione
e grande abilità tecnica, assumendo il cognome toscano
paterno dello zio pittore Aurelio Lomi.
Ben presto, però, Artemisia riuscì a liberarsi del
marito e ad affrontare in modo indipendente il resto
della vita.Libera e orgogliosa, cominciò a viaggiare; fu
a Genova, a Roma, a Napoli, a Londra e poi nuovamente a
Napoli, guadagnando bene, tanto da poter offrire una
consistente dote alle sue figlie.
Grande interprete del caravaggismo napoletano,
fedele alla lezione del maestro, di cui lo attrasse
soprattutto la violenza espressiva, Artemisia contribuì
a diffonderne la tecnica del chiaroscuro e del realismo,
prediligendo il tema biblico di Giuditta e Oloferne, che
rappresentò con cruda intensità in una serie di quadri.
Cruda, d'altronde, era stata l' esperienza personale
della violenza subita, il cui segno è ravvisabile non
solo nella scelta di vita indipendente adottata,
estremamente audace per una donna del Seicento, ma anche
nelle figure femminili ritratte sempre come donne
forti, potenti ed orgogliose, ed è probabile che
rappresentare il tema di Giuditta fosse per lei un modo
simbolico per vendicarsi della violenza maschile
subita.
Lo stile caravaggesco dei suoi lavori piacque molto
ai committenti, e grande fama le conquistò soprattutto a
Napoli, tanto che l’aristocrazia locale le assegnò
numerosi incarichi, poi, però, la sua fama declinò, e
dopo la sua morte, avvenuta a Napoli nel 1652, la
pittrice cadde nell’oblio, ma nel Novecento, quando
anche lo stile caravaggesco fu riscoperto, riconquistò
nuova considerazione, apprezzata dal movimento delle
donne per la passione e l’ardimento.
Francesca Santucci
Riferimenti
Susan Vreeland, La passione di Artemisia, Neri
Pozza, 2002.
Alexandra Lapierre, Artemisia, Mondadori,
Milano, 2000.
L. F. Pusch- S. Gretter, Un
mondo di donne, Pratiche editrici, Milano, 2003.