Isabella Morra
I.M.D.
Lucana, Pisticci, agosto 2005
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La poesia di
Isabella Morra, che affascinò a
tal punto Benedetto Croce da spingerlo a recarsi personalmente in
Basilicata per indagare sulla vita della poetessa, conquista
immediatamente in virtù della romantica e dolente vicenda alla
quale rinviano i suoi versi, tuttavia sarebbe ingiusto
considerarla esclusivamente una testimonianza autobiografica,
perché la sua voce poetica non è soltanto illuminante della storia
personale; l’ espressione del suo tormento e del suo dolore
trascende il privato, ed offre occasioni di meditazione e
riflessioni universali, sul destino degli uomini in generale, in
particolare su quello delle donne costrette in tempi e luoghi a
loro ostili. La vicenda, umana e poetica, che ancora ai
nostri giorni esercita intatto fascino, soprattutto sulle donne,
per l’ esemplarità di una certa condizione femminile oppressa,
rivive, oggi, nella nuova pubblicazione di Antonia Chimenti,
professore di Lingua e Letteratura francese, anche studiosa della
poesia francese del periodo rinascimentale, appassionata di poesia
in generale, autrice di un altro importante lavoro sul femminile
dedicato a Veronica Gambara: "Isabella Morra" (I.M.D. Lucana
s.n.c.agosto 2005 Pisticci). La pregevole pubblicazione, di agevole e
scorrevole lettura, un "breve romanzo-che romanzo non è" (secondo
la definizione della stessa Autrice), scaturita dall’interesse
culturale per quel particolare periodo storico, il nostro
splendido Rinascimento italiano, ma anche dalla profonda empatia
per questa fragile-forte donna che "incarna la lotta dello
spirito, che deve farsi coraggiosamente strada in mezzo a macigni
di greve materialismo", ripercorre, nei suoi punti salienti, fra
luci ed ombre, la dolente vicenda di Isabella, articolata come in
drammatiche cadenze, fino al tragico epilogo finale, oltre il
quale brillano di vivida luce i versi della sventurata poetessa. In "D’un alto monte onde si scorge il mare",
incipit del sonetto terzo della poetessa, troviamo Isabella, in
lacrime, percorrere con lo sguardo il mare, nella speranza di
avvistare una nave amica che possa recarle notizie del padre
lontano; vana ogni speranza, è costretta a far ritornare nel
castello ostile, dove troverà conforto solo in se stessa: la sua
scrittura. In "Quanto pregiar ti puoi, Siri mio amato",
entusiasta per un viaggio che compirà con un’amica, a Salerno,
forse anche a Napoli, che la strapperà dall’angusta sua esistenza,
che appagherà la sua ansia di libertà, euforica si rivolge al
fiume Siri (Sinni), altrove chiamato torbido, perché
testimone della sua infelicità, qui, invece, spettatore dei suoi
entusiasmi.In "Compagna son di quelli spirti divi"
Isabella è risollevata dalla sua prostrazione da un anelito di
spiritualità, che pare rendere più sopportabile sia la solitudine
che la disperazione. In "Diego Sandoval de Castro", l’Autrice
punta il riflettore su Diego Sandoval de Castro, che passeggia in
solitudine lungo il Tevere, diviso fra il pensiero della giovane
che, come lui, compone versi, Isabella, che per lui è sogno,
poesia, e quello della moglie, porto tranquillo, certezza, realtà;
ed anche nei successivi capitoletti il protagonista è Diego,
l’uomo, il poeta, il confidente, la vittima, forse l’innamorato,
forse no (ma poco importa che le sia stato o meno amante, di certo
condivise con la poetessa gli slanci più puri e nobili dell’animo,
quelli che elevano lo spirito dalle umane angustie), in ritorno
verso casa, verso i luoghi selvaggi della Basilicata, dove in
agguato per lui è appostata la morte. L’ aspra fortuna, il fato avaro,
la fiera stella,congiurano contro Isabella e i suoi
protettori, il male è lì, pronto a vincere, a piegare le loro
esistenza terrene, non l’ accorato lamento di Isabella, che
sfiderà i secoli, pervenendo, straziante, fino a noi. Bellissima la "Lettera a Isabella" che
l’Autrice pone in finale, quasi a suggello dell’aspra vicenda,
dopo la riproposizione dei sonetti della poetessa: è una lettera
empatica a Isabella, ma non solo, è un messaggio rivolto alle
donne di ogni tempo, a non lasciarsi piegare dalle circostanze
avverse, a non lasciare avvilire dalla brutalità, anche quando più
bieca la realtà si mostri, ricordando sempre che "dove manca la
libertà, dove la donna è schiava di bruti, a loro volta schiavi
della propria natura non umanizzata, è impresa titanica riuscire a
dar voce alla sensibilità ferita, agli slanci del cuore, al
desiderio d’amore e di libertà", impresa titanica, ma non
impossibile. Piacerà a molto questa nuovo lavoro di
Antonia Chimenti, prosa che, poetica, si dispiega: agli studiosi,
che ben conoscono la poetessa rinascimentale, perché, al di là
delle recenti congetture, ritroveranno la ricostruzione
dell’esatta storia accaduta; piacerà ai poeti, e a chi ama la
poesia, perché potranno riassaporare i suoi versi misurati e
perfetti; piacerà a chi ama il romanzo breve, ripercorrere in
prosa romanzata la vicenda; piacerà alle donne, in generale,
identificarsi in questa figura esemplare di donna (seppur d’altri
temi, tempi lontani), costretta a dibattersi nelle angustie morali
e spirituali, ma anelante, sempre, alla realizzazione di sé, in
ardente spirito di libertà.
Francesca Santucci
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Indice
Invito alla lettura
D'un alto monte onde si scorge il mare
Quanto pregiar ti puoi, Siri mio amato
Compagna son di quelli spirti divi
Diego Sandoval de Castro
Lungo l'Appennino del Sannio (leggi subito)
Nelle acque dello Ionio
Nel castello di Bollita
Udrete il pianto e la mia doglia eterna
Li foro tirate tre arcabusate
Note biografiche
II Canzoniere di Isabella
Lettera a Isabella
(leggi subito)
Postfazione
Bibliografia
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