In età ellenistica il genere letterario epigrammatico perse il carattere
puramente patriottico che aveva in età classica e divenne lo specchio fedele dei
molteplici e superficiali interessi dell’epoca, producendosi in vari argomenti,
dall’epitaffio all’iscrizione votiva all’epigramma celebrativo, per ricordare
persone o fatti, composto per uomini illustri, o anche di natura funebre per
cantare con teneri accenti la morte degli animali.
Difficile è classificare l’epigramma ellenistico, proprio per la varietà
degli argomenti, tuttavia è possibile individuare due scuole: la Scuola
Peloponnesiaca, che nel genere epigrammatico prediligeva l’espressione di scene
naturali, con brevi schizzi di paesaggi, e che, come linguaggio, usava il dorico
letterario, e la Scuola Ionica, di natura più varia ed artificiosa, con
l’esaltazione del vino e dell’amore.
Alla Scuola Peloponnesiaca appartenne la voce gentile, soffusa di
spiritualità, della poetessa Anite, che visse a Tegea, nell’Arcadia, tra la fine
del quarto ed i primi decenni del terzo secolo, ben presente nell’Antologia
Palatina perché inclusa da Meleagro nella sua Ghirlanda.
Conosciuta dagli antichi col nome di "melopoiòs", cantante lirica, ma i cui
canti lirici non sono mai stati ritrovati, circondata da un alone di leggenda
che attribuiva potere magico ai suoi versi, fu così famosa che, in un epigramma
dell’Antologia Palatina, il poeta Antipatro di Tessalonica la celebrò come una
delle Muse terrene e la definì "Omero donna"; alla sua morte i concittadini
affidarono a due famosi artisti, Euticrate e Cefisodoto, l’incarico di erigerle
una statua.
Delle sue liriche nulla abbiamo; restano solo 22 epigrammi in dialetto
dorico, impeccabili nel metro e insuperabili nella semplicità di stile, emulati
da molti epigrammisti, da Leonida a Mnasalce.
Negli epigrammi, di stile e lingua dorica, forte e spontaneo, non
contaminato da artifizi letterari, è il linguaggio con cui esprime il sentimento
degli spettacoli della natura, attraverso la creazione di scene e quadretti
rustici non inferiori a quelli dei carmi bucolici di Teocrito.
Sono, infatti, di particolare suggestione gli epigrammi in cui, ispirata
dall’amore per la natura, Anite invita a trovare ristoro nella pace campestre,
riversando tutto il suo animo nella rappresentazione di scene dal vero ravvivate
dal canto d’un usignolo o dal frinire di una cicala.
Notevole è anche l’originalità degli epigrammi sepolcrali e degli epicedi,
componimenti per la morte di animali, molto diffusi nella letteratura latina, di
cui, esempio illustre, è La morte del passero, di Catullo.
Con delicata sensibilità Anite canta la morte degli animali, anche di quelli
più minuscoli, giacché tutti la morte colpisce, dalla minuscola cavalletta alla
fragile cicala, dal misero gallo strozzato dal ladro al focoso destriero caduto
nella mischia, tema che non fu la prima a trattare, ma che affrontò in maniera
così particolare tanto che molti poeti proprio da lei appresero poi a
cantare.
EPIGRAMMI
I)
Sulla virginea tomba gemendo, Clino la madre
chiamò la figlia effimera sovente,
l’ombra di lei evocando, di Filènide, avanti le nozze
calata sulla livida palude.
II)
Non preparò né letto nuziale né santi imenei:
sulla marmorea tomba una figura,
Tèrside, pose tua madre di vergine, a te somigliante.
Anche se morta sei, con te si parla.
III)
A un grillo, usignolo dei campi, ed insieme ad una cicala
abitatrice delle querce, fece una tomba comune
Mirò, piangendo lagrime infantili; poiché Ade
inesorabile d’improvviso strappò gli amati trastulli.
IV)
Siedi sotto le belle foglie del lauro fiorente
e bevi l’acqua dolce della bella fonte,
e riposa così le tue membra stanche
dai lavori dell’estate, alle carezze dello zefiro.
V)
Ospite, sotto l’olmo ristora le stanche membra,
mentre dolce tra le verdi fronde bisbiglia il vento,
e bevi la fredda linfa della fonte; ben è grato
ai viandanti tale riposo durante la canicola ardente.
Francesca Santucci
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