Francesca Santucci

Amor sacro e amor profano

di Tiziano Vecellio


Fu nel 1514 che Niccolò Aurelio, dotto umanista e collezionista, gran cancelliere, uno dei maggiori funzionari della Serenissima, commissionò a Tiziano questo quadro bellissimo (il titolo fu coniato nell’Ottocento), il cui soggetto resta ancora oggi misterioso, ma con due personaggi chiaramente identificabili: il nudo femminile con il manto rosso drappeggiato rappresenta Venere, e il bambino che si sporge nella fontana è Cupido. L’enigma resta la figura della donna sontuosamente abbigliata, in atteggiamento di estraneità e distacco rispetto agli altri due, come assorta, in riflessione sui misteri dell’amore.
Molte sono state le interpretazioni, tra le quali ha trovato maggiori consensi quella che ha ritenuto il dipinto un’allegorica rappresentazione dell’amore terreno e dell’amore spirituale, impersonati dalle due Veneri, una celestiale e spirituale, l’altra sensuale e terrestre. Probabilmente, però, l’interpretazione meno esoterica e più reale è quella che riferisce l’opera al desiderio di Niccolò Aurelio di celebrare il suo matrimonio, avvenuto nel 1514, con un dipinto allegorico: la donna che indossa il tradizionale abito bianco e che reca nei capelli la corona di mirto, pianta sacra a Venere e simbolo dell’amore coniugale, che delicatamente viene iniziata ai misteri dell’amore dalla Venere nuda, aiutata nei suoi disegni dal suo compagno, Cupido, che smuove le acque nella fontana, sarebbe proprio la sua sposa.  L'ipotesi che il quadro sarebbe stato dipinto in occasione del matrimonio di Niccolò Aurelio sarebbe avvalorata anche dallo stemma araldico della famiglia del committente incluso tra i fregi della fontana, e dal blasone della famiglia della sposa, Laura Bagarotto, nella decorazione del piatto d’argento sul bordo della fontana, ornata da un fregio il cui significato resta misterioso ma che, secondo alcuni critici, rientrerebbe nel solco interpretativo tradizionale: nel cavallo senza sella domato e legato bisognerebbe vedere il soggiogamento della passione.
Il dipinto, considerato un tipico esempio della commistione degli elementi pagani e cristiani presenti nella cultura rinascimentale, è costruito alla maniera tipica di Tiziano, che ben aveva appreso la lezione del suo maestro, Giorgione, tanto che  in pochi anni non soltanto poté eguagliare il maestro, ma di gran lunga superarlo, dominando per oltre settant’anni il mondo artistico della Repubblica di Venezia ed anticipando di tre secoli Renoir e gli Impressionisti con l’uso rivoluzionario del colore e l’amore per il paesaggio, considerato non più solo come sfondo del quadro ma protagonista della rappresentazione.
Tiziano s’impadronì, dunque, della pittura del maestro, ma le impresse un maggiore slancio, dipingendo a larghe pennellate, come ci racconta Palma il Giovane, solo con i colori stessi, senza disegno preparatorio sulla tela, con colpi risoluti di impasti di bianco, nero o bruno, o con miscele di rossi e gialli, sui quali ritornava spesso, dopo aver lasciato riposare la pittura anche per qualche mese, con le velature (cioè gli strati sottilissimi di colore applicati proprio come un velo sulla superficie colorata per modificare il tono), di azzurri, verdi e rossicci, conseguendo così effetti caldi ed intensi, abolendo i contrasti di luce ed ombra ed immergendo i contorni netti delle forme nelle atmosfere dell’ambientazione.
L’Amor Sacro e l’Amor Profano, al di là di quelle che possano essere le diverse interpretazioni e valutazioni dei critici e degli esperti, appare un capolavoro per la bellezza del soggetto classico, per le suggestioni filosofiche e per l’ armonia delle poche e vaste superfici cromatiche in cui è inserito con naturalezza il tema dell’amore.
Sullo sfondo del dolce paesaggio, in cui è facilmente riconoscibile l’entroterra veneto dal quale Tiziano proveniva, le due immagini di donna, creature di carne e sangue, opulente alla maniera tizianesca e degli ideali del tempo, sembrano estremamente simili pur nella diversità sia del significato allegorico, sia della rappresentazione pittorica.
Facce diverse della stessa medaglia, come, in effetti, sono l’amore carnale e l’amore spirituale, appaiono simili nel volto, nei lunghi capelli di seta, nelle fattezze fisiche carnose (esposte allo sguardo dell’osservatore nella Venere, celate nella sposa), nella dorata luminosità della pelle. Anche i colori si richiamano, c’è come una corrispondenza che rimanda anche alle corrispondenze filosofiche: chiaro il panneggio sulle gambe di Venere e chiara la veste della sposa, rosso il drappeggio del manto della dea della bellezza e dell’amore e rossa la manica dell’abito della donna. A dividere, simbolicamente, le due donne, nello spazio pittorico e nella concezione amorosa, ma in fondo anche ad unirle, nel dipinto e nel significato allegorico, c’è Cupido, Eros, il detentore e l’iniziatore dei misteri dell’amore, tramite e guida al congiungimento tra le due opposte concezioni, quella dell’amore spirituale e carnale, dell’amore sacro e dell’amore profano.