Da quod amem
poesie
per Caterina
Si dare vis nostrae vires animosque Thaliae
Et victura petis carmina, da quod amem.
Marziale,VIII,73.
I
Stanotte ho sognato
Ma senza nomi
Era buio e voci assenti
Cadevano con la pioggia
Da una memoria di alberi
Tu eri sul letto
rannicchiata amore mio
Non dormivi
Avevi tra le mani la
chitarra , Ricciolidoro,
Le punte delle ginocchia
ti premevano
Il cuore. e carezzandola
ad occhi chiusi
Hai preso ad arpeggiare
il silenzio
Con la grazia di un
bambino che si addormenta
II
Nel treno che mi riporta
a casa
Un vecchio che sembra
Ungaretti
Mi chiede dov’è la mia
casa
Non so il treno dove
mi sta portando
So solo che mi
allontana dal sottopasso della stazione
Dove il mio amore mi
precede con le spalle voltate
“Non voltarti - le
dico - Se ti volti svanirò” -
Il vecchio ha celesti
profezie nello sguardo
Mi chiede se sono felice
, non so – dico -
Non ho parole adesso,
non so se sto svanendo
Se il sonno dagli occhi
di gatto mi farà di nuovo
Abbracciare il pigiama
bianco dove riposa il mio amore.
Il fiato della sua pelle
è un incantesimo
Che non cessa di
nutrirmi in questo inferno stridente di binari.
Arriveremo all’alba,
sarà di nuovo mattino, mi dice frattanto
La donna dormiente dal
sedile di fronte, rassegnati e guarda avanti
La luce e la brina
scaveranno una voragine senza fine da cui
Nessun sogno potrà
ritornare. Ma io ho visto in sogno una luce più vera
Che ha la stessa
dolcezza delle mie colline e il sapore del mare
E anche se ne ignoro
l’origine e la direzione , a lei mi abbandonerò
Come ad una cometa o ad
un naufragio imminente
III
Eri lontana e già ti
vedevo
Avrei potuto cercarti ad
occhi chiusi
Guidato dal tuo respiro
color d’hennè
IV
Qui le cose parlano di
te
L’insegna luminosa degli
Albini
La casa di Romildo , la
mensa
Vuota, il cubo 28 e
l’aula Iana
Dove domani siederai per
la lezione
Ma ora è buio la notte
dorme
Tutto sembra
addormentato e vigile
E tu sei dappertutto,
amore, come il vento
V
Ma ora il vento spalanca
impareggiabili aurore
Scende nel sangue, più
dentro ancora
Scava un abisso di
papaveri
E tu sei li che mi
attendi con il tuo nome
Che contiene il mondo
V
Cala la sera
Nervosa cometa
Da contrade lontane
Scendono ombre esauste
I pensieri
Io trascino la mia
valigia nella polvere
Per le strade di
Castiglione
Non so cosa accade,
Ad ogni metro perdo
l’equilibrio
Quante certezze seminate
per via,
Mi tiene per mano una
ragazza dai capelli di brace,
A lei mi affido,
Senza fare domande,
Non credevo che nel suo
ventre serbasse la paura
Tanto miele
VII
Vengo dalle colline dove
nasce il Sele
Dall’Africa sperduta dei
miei dolori
Cercami tra i dirupi,
tra i silenzi
Delle alluvioni, qui
troverai gli alveari
Dell’infanzia e l’abete
che mio padre
Piantò il giorno del mio
primo vagito
Nessun tramonto neanche
l’amore
Cancella le nostre
ferite dal paesaggio
È tutto vero: il passero
intirizzito
Sulla grondaia , la
polvere,
Il cemento, la luna
d’estate che pare
Una lattina scaraventata
nel fiume
VIII
Basta così poco agli
amanti
Per crearsi dal nulla
una religione.
Così per noi i dolci
di Cannataro
La birra da scolare a
litri
Nel caldo rifugio della
tua cameretta
Leggendo poesie di
Montale o
Di Pavese , ed altre
promesse
Puntualmente giurate per
essere
Di li a poco disattese
Basta un tuo sguardo il
niente
Di un respiro la curva
dei tuoi fianchi
Indovinata tra le pieghe
del pigiama
E il cuore che sbanda
come un levriero
Sfuggito al guinzaglio
del padrone.
IX
Sei venuta
Neanche la lama del sole
Si fa strada nel cuore
Con tanta naturalezza
Sei bella, Non ti
nasconde la notte
Anzi è il suo fiato che
ti cresce
Smisurata preghiera
senza parole
Io ti seguo ti do la
mano
Mi basta sfiorarti per
sentire il calore
Della casa smarrita.
Dentro i tuoi occhi
La luce danza
Come un alveare sepolto
dalla neve
L'amore nei
versi di Adriano Napoli
nota critica di Francesca Santucci
…una lenta pioggia d’autunno batte nelle vetrate
delle mia finestra,
la fiamma crepita nel caminetto,
la notte è fredda ed oscura…ed essa è con me;
il mondo ha cessato di esistere intorno a noi.-
Vi è qualche cosa fuori di noi, fuori del nostro
amore?...
Noi siamo qui soli e felici…
(I. U. Tarchetti, Storia di un ideale)
L’Amore: tema universale, antico quanto nuovo, forza
irragionevole, inquietudine ebbrezza, dolore e
gioia, naufragio ed approdo; da secoli i poeti
dedicano versi splendidi alle donne amate, amate nella
realtà o soltanto nella fantasia, ma non sempre, pur
se sinceramente ispirato, è autentico l’uomo che
scrive versi d’amore, non sempre le sensazioni, le
emozioni che prova, sono reali, spesso sono
esaltazione, esagerazione, addirittura pura illusione.
Capita, infatti, al poeta, di entusiasmarsi (e
sincero è poi il dettato poetico che ne deriva) non
per la donna in se stessa, ma per il miraggio di lei,
per l’immagine che ne ha costruito nella sua mente,
per un dettaglio esteriore, una sfumatura (un
ricciolo d’oro, gli occhi del colore del mare,
l’incedere, il sorriso), innamorandosi d’un aspetto
particolare; addirittura l’uomo/poeta inventa la
donna ed ama una sua sembianza, un fantasma,
un’illusione: ma quale gioco, quale illusione più
grande dell’Amore?
Ricordo un racconto dello scrittore ottocentesco
Iginio Ugo Tarchetti, “Storia di un ideale”, in cui il
protagonista, Alfredo, impossibilitato a vivere
l’amore nella realtà, s’ inventa un amore ideale,
inventa una donna che non esiste, se non nella sua
immaginazione, Perla (…una donna da cui era
riamato, una creatura sublime, un essere celeste e
perfetto…) e per lei apparecchia una stanza, e la
correda di oggetti ( un piccolo mobile, un
cofanetto intarsiato a figurine cinesi…cesti da
lavoro ripieni di stoffe, di nastri, di gomitoli, un
telaio da ricamo…una pettiniera…mille boccette ripiene
di profumi…un pianoforte), e con lei vive la sua
grande felicità, il supremo degli inganni: l’illusione
d’amore. L’illusione, sì, illusione davvero, perché
poi il sogno sfuma, e, tristemente, alla fine si rende
conto che l’ideale non può esistere e che soverchiante
è il peso della realtà.
Ma differente è il verso d’amore maschile da quello
femminile, conservando intatti, uomo e donna, le loro
specificità anche nell’espressione poetica; l’uomo
investe totalmente col suo desiderio l’oggetto amato,
di sogno o sognato, usando parole e parole (…più
giuramenti, più parole usiamo noi uomini; ma invero i
nostri gesti son maggiori dei nostri sentimenti; ché
molto noi, a parole, professiamo, ma ben poco in
amore…, W. Shakespeare, La dodicesima notte)
per descrivere, incantare, sublimare, trasfigurare la
donna amata, e la paragona ad un giglio o ad una rosa
o ad un angelo, tanto che più che donna forse è, come
Perla, appunto, illusione, sogno (…i poeti ti
tessono una rete con fili di dorate fantasie…,
Tagore, Donna), esaltando il sentimento a
dismisura e superando l’autentico sentire.
Le donne, invece, non elaborano l’illusione, nelle
loro composizioni riversano lo strazio reale d’un
amore vero e, pur se allineano tacite parole, quanto
più lacerante perché più autenticamente “sentito” è il
loro canto d’amore amando le donne solo per Amore, e
non per altro; e ben espresse questo concetto la
poetessa inglese Elizabeth Barrett Browning quando
scrisse: “E se mi devi amare per null’altro sia/che
per amore. Non dire “L’amo per il /suo sorriso, il suo
sguardo, il modo/ gentile di parlare, per le sue idee/
che si accordano alle mie e che un giorno/ mi resero
sereno”. Queste cose possono, /Amato, in sé mutare o
mutare per te./ Così fatto un amore può disfarsi…
***
Non è facile poetare oggi su un tema tanto abusato,
l’amore, anzi, si rivela impresa ardua soprattutto in
tempi in cui tanti (troppi!) ne scrivono, con
leggerezza, facilità, retorica, avendo forse, però,
smarrito la piena comprensione della profondità di
questo sentimento; sorprendono, perciò, piacevolmente
i versi di Adriano Napoli, perché si percepiscono
autentici, sinceramente ispirati, ed ogni donna, sia
l’abituale fruitrice di versi che la lettrice
occasionale, ama leggere versi d’amore maschili
scattando inevitabilmente il meccanismo
d’identificazione, sicché, alla fine, è come se
leggesse versi a lei dedicati.
Fonte ispiratrice e destinataria di questa piccola
preziosa silloge poetica dai toni notturni, anche
Caterina emerge come creatura di sogno ( “Poesie per
Caterina” recita la dedica introduttiva, e poco
importa che Caterina sia donna di sogno o sognata, che
sia lei l’unica o che emblematicamente significhi
tutte le donne amate, che la storia d’amore perduri
oppure che sia già stata consegnata al passato, vale
ciò che in quest’istante si legge, ed ora quest’amore
esiste ed invade ogni anfratto insinuandosi
dappertutto… come il vento).
Donna vera, viva, diviene simile a Perla, la creatura
tarchettiana, perché immersa nell’atmosfera onirica
che l’Autore, poeta pure non nuovo a composizioni in
cui celebrato è il sentimento amoroso, ha saputo
sapientemente tratteggiare, dipingendola con tocco
impressionista, conferendole un’aura d’indefinitezza
che la consegna alla dimensione astratta, ideale.
Fluttuante figura in sospensione, Caterina assomiglia,
infatti, ad una fantasticheria; pur se ritratta con la
chitarra fra le mani (Avevi tra le mani la
chitarra, Ricciolidoro, /Le punte delle ginocchia ti
premevano/Il cuore e carezzandola ad occhi chiusi)
non suona lo strumento, ma arpeggia il silenzio,
e il fiato della sua pelle è un incantesimo
e dentro i suoi occhi la luce danza, e questo
tono vago, inafferrabile come l’immagine tremolante
nell’acqua, pur alludendo ad “oggetti” concreti, il
Poeta mantiene in tutte le sue composizioni.
Ondeggiando tra sonno e veglia, tra sogno e realtà,
tra ricordo e quotidianità, tra ombra e luce, fra
tramonto e aurora, in un continuo gioco di
chiaroscuri, con versi lievi e delicati, che non
mancano di stupire per la semplicità e l’immediatezza,
nonostante tradiscano il dotto retroterra culturale
dell’Autore, l’io lirico si muove fra i silenzi, il
buio, il ricordo sonnolento, le sfumate similitudine.
E’ come se il Poeta avesse scelto il silenzio per
urlare ed imporre il suo amore, fatto di certezze (e
nell’inferno stridente dei binari l’amore, che è
dappertutto, come il vento, spalanca impareggiabili
aurore, perché basta così poco agli amanti per farsi
una religione), di bisogno di protezione (la
casa, la stazione, il ventre), di cupi presagi e
disincanti (promettersi promesse che poi verrano
disattese), d’esitazioni (sbanda come un
levriero sfuggito al guinzaglio del padrone il cuore
di chi ama), di smarrimenti (Mi chiede se
sono felice, non so - dico -Non ho parole adesso, non
so se sto svanendo), di piccola, tenera bastevole
gioia (Mi basta sfiorarti per sentire il calore…
Basta solo sfiorarsi per essere felici), ma anche
di timori, soprattutto quella di perdere la sua
felicità, di perdere quell’amore così dilagante che è
dappertutto…come il vento), per una donna che
appare incorporea, eterea, impalpabile, sfuggente.
L’ esperienza di vita confluisce nella poesia, e
il poeta guarda a tutto nella prospettiva della donna
amata, investendo ogni oggetto del suo sentimento
amoroso, e così l’amore diviene vita e luce, la morte
buio e tenebra perenne, anche se talvolta le due
dimensioni paiono incontrarsi e camminare insieme
(Era buio e voci assenti/. Ma io ho visto in sogno
una luce più vera) per correre incontro all’unica
salda certezza del momento che, luminosa,
riverbera lontano i suoi bagliori: l’Amore.
Ed avvince l’atmosfera romantica e la serpeggiante
dimensione sotterranea, quasi claustrofobia ( ma
l’amore si nutre anche della dimensione tenebrosa) che
permea i versi, il paesaggio crepuscolare entro cui
fluiscono e s’incastonano le emozioni (il buio, la
notte, l’arpeggiare dei silenzi, la sera, la cometa
nervosa, le ombre esauste), ed anche convince lo
stile puro ed elegante, il linguaggio terso, limpido,
semplice, felice sintesi della poesia del Novecento
(che il Nostro ben dimostra di conoscere) e
d’elaborazione personale, con cui, sommessamente,
quasi con pudore, come in una sorta di diario
intimo, tra timido desiderio e quieta gioia, Adriano
Napoli, con grazia e dolcezza, in suggestiva levità,
parla d’amore, in tempi in cui nel mondo cupamente
sembra prevalere l’opposto sentimento.