Dalla parte delle bambine

 cancellate dal mondo

di Rita Stucchi Pedrini

 

In alcuni paesi asiatici e africani gli aborti e gli infanticidi hanno eliminato dal grafico delle nascite 100 milioni dl bambine. Un orrore perpetuato dalla miseria e da leggi che considerano le femmine individui di sede B.

 

 

AI Charendhra College, situato in uno dei crocevia più affollati di Calcutta, centinaia di ragazzine in divisa blu e bianca entrano nel cortile di cemento per l'intervallo del mattino. Sono 300 circa: tante viste tulle assieme, ma soltanto una goccia nell'Oceano di bambine disperse sui marciapiedi della città. La direttrice afferma che il numero delle allieve della suo scuola non è diminuito negli ultimi anni, che, anzi, le richieste di scolarizzazione sono costanti. Ma le sue studentesse appartengono alla classe media, figlie di impiegati e di professionisti recenti che vedono nell’istruzione la salvezza per il futuro.
Poiché, nonostante le nuove leggi indiane, la tradizione radicata nei secoli considera il genere femminile grandemente subalterno a quello maschile. La scuola è frequentata da bambine privilegiate, nate in famiglie dove sono state accettate e forse anche desiderate.
Sanno che là fuori, per le strade della loro città, la vita di milioni di coetanee non gode di alcuna garanzia di sopravvivenza e di dignità. Ma, non sanno che altri milioni di creature non hanno avuto nemmeno la possibilità di cominciare a vivere. Da 15 anni a questa parte, infatti, in India sono mancate all'appello demografico soprattutto le femmine. Secondo le stime dell’Unicef, ogni armo un milione di bambine muoiono per il solo fatto di appartenere a un genere considerato di seconda classe.
Concordano con questo dato anche le fonti ufficiali; un articolo dell'autorevole rivista medica The Lancer definisce le donne indiane come 'una specie in pericolo: 934 femmine su 1000 maschi nel 1984, 929 su 1000 censimento del 1991.I demografi indiani sottolineano il grande numero di bambine non denunciate all'anagrafe e ai rilievi statali perché considerate irrilevanti. Ma questo non basta a spiegare il fenomeno. Un peso crescente ha soprattutto l'aborto selettivo, reso possibile dalle tecniche di diagnosi prenatale del sesso. Un dato: su 8000 aborti praticati a Bombay in seguito ad amniocentesi, 7999 riguardavano feti di sesso femminile. Cifre così precise e drammatiche hanno scatenato campagne   d'opinione   di   numerose associazioni femminili indiane, che hanno indotto alcuni Stati del sub-continente a mettere n'ori legge nel 1989 i test per la determinazione del sesso del nascituro. Ma nelle aree rurali è ancora oggi l'infanticidio a prevalere. La giornalista indiana Sakuntala Narasimhan ha compiuto un monitoraggio nell'India del Sud e ha raccolto dati allarmanti e lucidissimi nella loro crudeltà. Nel corso di un sondaggio condotto neI villaggio di Madurai, luogo turistico di bellezza straordinaria, dove la vita è meno aspra che in altri luoghi del Paese, ben 51 famiglie su 640 hanno ammesso infanticidi di femmine.
"Meglio soffocare una neonata", è stato il commento, "che farle vivere un'esistenza di stenti e miseria". Con questa tesi spietata e reale concordano quasi tutti i demografi indiani, che attribuiscono la scomparsa delle femmine soprattutto alla mortalità nella fascia da O a 5 anni, elevatissima rispetto ai maschi. Ogni anno nascono in India 12 milioni di bambine, ma il 25% non arriva a 15 anni: fra 1 e 4 anni di età muoiono 300 femmine su 100 maschi. Le bimbe che riescono a vedere la luce hanno meno cibo, meno cure mediche, meno assistenza: nel segno di una tradizione che svaluta la figlia, destinata a essere - anche per l'onere economico della dote obbligatoria - soltanto un peso per la famiglia d'origine.
In Pakistan la situazione non è diversa: il rapporto maschi-femmine è di O a 100. Uno studio recente denuncia che il 71% dei bimbi sotto i 2 anni ricoverati in ospedale sono maschi: se si ammalano, le femmine ricevono cure sommarie e il 61% di loro è mal nutrito, contro il 50% dei bambini.

In Bangladesh le cifre dell'ingiustizia sono altrettanto terribili: una bambina riceve il 20% di calorie in meno rispetto a un maschio e, in caso di diarrea acuta, i ricoveri per i maschi sono del 65% più frequenti che per le femmine.

Anche nella Corea del Sud il rapporto tra i due generi denuncia una vistosa disparità: negli ultimi anni, sono nate 86 femmine su 100 maschi. Un dato allarmante, che ha spinto la Federazione Coreana per la Pianificazione Familiare a tappezzare città e villaggi con manifesti sui quali si legge: "Dovremo importare spose di colore?".  Questo spauracchio è già realtà nel Vietnam di oggi, dove le donne rimaste pensano più a crearsi un pot di benessere che a procreare bambini privi di garanzie per il futuro. Si aggira insomma nel continente asiatico lo spettro di un mondo nel quale le femmine saranno una minoranza numerica. E quindi sempre meno garantite nei loro diritti umani e sociali. Un mondo nel quale tornerebbero ad essere merce di scambio fra uomini che ne determinano il destino.

In Cina il rapporto bambini-bambine è. di I a 100: in questo smisurato continente i demografi hanno calcolato la mancanza di 500 mila femmine all'anno.  Nonostante la mortalità infantile delle piccole donne sia statisticamente minore di quella dei maschi, la Commissione statale per la pianificazione familiare e la Statistics Sweden rilevano che ogni anno in Cina muoiono 45 mila bambine in più del previsto. Tre sono le cause addotte negli studi uffici ali per tentare di spiegare la loro scomparsa. La prima è senza dubbio quella dell'evasione anagrafica: le nascite delle figlie non vengono denunciate. In questo modo la famiglia imbroglia le autorità che hanno imposto ai cinesi di non avere più di 1 figlio e i genitori possono coltivare la speranza di avere un maschio senza incorrere nelle punizioni previste per legge. Si calcola che i figli clandestini siano 9 milioni e sono in prevalenza di sesso femminile. Una soluzione meno spaventosa dell'infanticidio ma che condanna queste creature a una vita durissima, senza assistenza sanitaria e scolastica, senza alcuna possibilità di sviluppo. La seconda causa è attribuibile anche qui agli aborti selettivi. Sebbene tale pratica sia illegale in tutto il Paese, secondo statistiche pubblicate a Hong Kong, in talune località si arriverebbe al 90% del totale delle interruzioni di gravidanza. Infine, viene citato l'infanticidio: nelle campagne cinesi, per secoli le donne hanno partorito con un secchio d'acqua accanto al letto per affogare il neonato nel caso fosse femmina. Nella cultura tradizionale, infatti, solo i maschi garantiscono la vecchiaia dei genitori e la continuità della loro memoria nel culto degli antenati. Sicché le famiglie povere aspettavano con ardore il primogenito pronte a sacrificare le bambine per non avere troppe bocche da sfamare. Oggi il fenomeno è meno vasto ma di tanto in tanto arrivano alla stampa notizie mostruose. All'ospedale di Shanghai, nel 1987, le bambine indesiderate venivano eliminate subito dopo la nascita   con un iniezione mortale nella fontanella e quindi venivano seppellite sul retro dell'ospedale. Nella grande Cina di Deng Xiao Ping lanciata verso un capitalismo selvaggio che promette benessere a quasi tutti, mezzo milione di donne ogni anno cancellano dal mondo mezzo milione di bambine. Questa guerra delle madri povere contro le proprie figlie inera'1; racconta una situazione di diseguaglianza nel Paese che scatenò più di una rivoluzione perchè tutti gli uomini potessero godere degli stessi diritti. "L'altra metà del cielo", come Mao Tse Tung definì l'universo femminile, è ben lontana ancora dall'affermazione primaria della sua specificità genetica,. cioè il diritto di partorire figli, e soprattutto figlie, senza il dolore di doverle sacrificare a una cultura e a uno Stato che ancora oggi le considera cittadine di serie B.
Ma se le cinesi non ridono, le donne tibetane piangono. Da molti anni. Per l'esattezza dal 1951, quando le truppe di occupazione della vicina Cina misero fine all'indipendenza pacifica del bel Paese in cima al mondo. Da allora i tibetani sono una minoranza nella propria patria: 6 milioni contro 7,5 milioni di cinesi. Cinesi che hanno distrutto 6 mila monasteri, conventi e centri culturali tibetani, imprigionando, torturando e costringendo all'esilio 120 mila fra monaci e civili che vivono oggi a Dahramsala, in India. In questo contesto di occupazione armata, i funzionari comunisti hanno messo a punto un piano drastico di controllo delle nascite, che mette in pericolo non solo la cultura ma la stessa razza tibetana. I cittadini del tetto del mondo possono avere due figli ma non prima dei 25 anni, devono essere sposati e hanno l'obbligo di lasciar passare almeno 4 anni fra le due nascite.
Ma il peggio lo ha raccontato un'infermiera tibetana arrivata quasi clandestinamente alla Conferenza mondiale delle donne a Pechino, nel settembre 1996. "Quando una madre arriva all'ospedale per partorire, deve mostrare l'autorizzazione ad avere un bambino rilasciata dall'amministrazione locale. Se non la possiede, il neonato, appena nato, sparisce. Le dicono che è morto e quasi automaticamente la donna viene sterilizzata". In Tibet, due équipe di controllo delle nascite praticano aborti e sterilizzazioni percependo dei piccoli guadagni. Gli aborti forzati vengono spesso praticati anche sulle gravidanze a termine: si inietta una dose letale di prodotto tossico nell'addome della madre e si esegue la condanna a morte del nascituro. Con la benedizione della legge. Sul corpo delle donne e delle bambine pesa ancora oggi, nei Paesi poveri del mondo, una maledizione voluta dall'arretratezza e dalla miseria. Sancita da leggi spaventose in Cina, dove nessun diritto umano viene rispettato. Sotto gli occhi dell'intera umanità sfilano le immagini e i dati riguardanti un nuovo genocidio che non riesce a sollevare la giusta indignazione. Se 100 milioni di bambine cancellate dalla faccia della terra non fanno urlare di dolore gli uomini di questo pianeta, allora smettiamo di piangere per Sarajevo o per il Ruanda. Perché nessuna guerra ha mai visto un così grande sterminio. Che poi siano le madri a reggere il peso più grande, a dover sopprimere la speranza della vita, diventa una condanna per tutta l'umanità. Un urlo straziante che d'ora in poi nessuno potrà ignorare.
A Shanghai, le bambine indesiderate venivano eliminate con un 'iniezione mortale nella fontanella e poi seppellite sul retro dell'ospedale.
Conferenza di Pechino: le rappresentanti delle organizzazioni femminili in esilio Sono state respinte dal governo cinese. Tuttavia alcune voci sono arrivate attraverso i grandi organi di informazione e le organizzazioni non governative che svolgono un lavoro assiduo di assistenza alle donne "a rischio di estinzione". La più disperata è stata quella di una giovane tibetana fuggita a Dahramsala per poter dare alla luce la terza bambina.
Ascoltiamola. "Quando ero incinta del mio terzo figlio, i funzionari cinesi vennero più volte a casa per convincermi ad abortire. Piena di angoscia e paura, scappai da mia madre. Loro picchiarono mio marito perché si rifiutava di dire dove fossi nascosta. Tornai a casa. Dopo un mese comparvero di nuovo. Mio marito e io proponemmo di pagare l'ammenda annuale fino a quando nostro figlio avesse compiuto 15 anni. Accettarono, ma mi ingiunsero di passare all'ospedale per farmi sterilizzare. In quel luogo da incubo ho visto con i miei occhi quello che mai avrei immaginato: ho visto medici con lunghe siringhe fare iniezioni alle donne incinte che erano ricoverate. Le stesse donne che pochi giorni dopo tornavano per abortire. Nei bagni i feti abbandonati venivano mangiati dai cani. Per questa ingiustizia legalizzata, non abbiamo avuto altra soluzione che la fuga.

 

               HÉLÈNE EHRET

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