Tra gli amici
milanesi di Ugo, scrittori, giornalisti,
letterati, con i quali aveva dato vita al
cenacolo artistico- letterario che aveva
come punto di ritrovo il numero 8 di via
Fiori Chiari, c'era anche Salvatore Farina,
conosciuto a San Salvatore Monferrato dove
il padre del Farina, procuratore del re, si
era trasferito con la famiglia, l'amico
fraterno che non
lo abbandonò mai più, tra le cui braccia
morì, e che così scrisse di lui:
Ebbe anima grande e sdegnosa, cuore
splendidamente largo e generoso e attraversò
la terra come un mendico...
Ma chi era Salvatore Farina?
Salvatore Farina, autore oggi praticamente
sconosciuto, fu uno scrittore che godette
di larghissima popolarità. Nacque a Sorso,
in provincia di Sassari, nel 1846, in una
casa tuttora esistente sulla cui facciata,
dal 1906, una lapide ricorda ai
posteri:"l'animo buono e la mente arguta e
feconda" da cui egli trasse "la più squisita
forma d'arte narrativa".
Trasferitasi la famiglia, dopo diverse
peregrinazioni nella provincia di Sassari,
in Piemonte, al seguito del padre, visse
prima a Casalmonferrato, dove si fece
onore nell'esercizio assiduo del biliardo,
della scherma e del nuoto, pittosto che
negli studi, poi a Pavia, dove si laureò in
legge nel 1868 con 169 voti su 170, infine a
Torino.
Dopo il matrimonio con la "buona Cristina"si
stabilì a Milano, e qui entrò in contatto
con importanti nomi del panorama culturale
lombardo, strinse amicizia con personaggi
come Verga, De Amicis, Giacosa, Tarchetti,
cominciò a praticare attivamente l'esercizio
letterario, come giornalista, romanziere di
grande successo popolare ed editoriale,
autore teatrale, collaboratore della rivista
"Nuova antologia", e direttore della
"Gazzetta musicale" e della "Rivista
minima", e nel 1876 fu tra i promotori della
fondazione del "Corriere della Sera".
Morì a Milano il 15 dicembre del 1918,
mentre l'Italia festeggiava la fine della
guerra, e fu sepolto nel Cimitero
Monumentale; sulla sua tomba fu incisa
l'epigrafe da lui stesso dettata in vita:
Salvatore Farina nel giorno X del MDCCCXLVI
accese in terra un'umile sua fiammella per
illuminare il suo bene ed amarlo, la spense
per meglio sognarlo, aspettando la luce
nuova, invoca sacro silenzio dagli amici,
ridesto per le infinite vie a ricercare
altro bene amandolo sempre.
Fra i suoi romanzi più famosi si ricordano:
"Cuore e blasone", "Due amori", "Il tesoro
di Donnina", "Amore bendato", "Capelli
Biondi", e la trilogia "La mia giornata"
("Dall'alba al meriggio", del 1910, "Care
ombre", del 1913, "Dal meriggio al
tramonto", del 1915) , in cui molte pagine
sono dedicate alla profonda amicizia che lo
legò ad Ugo.
Opera autobiografica, nata con l'intento di
racchiudere in un libro tutta la giornata
d'una vita intera, raccoglie
malinconicamente i ricordi personali dello
scrittore, unico sopravvissuto del gruppo di
amici di un tempo, al quale non resta che
rivivere in prosa semplice tutto il proprio
dolore, ma è anche la testimonianza del
clima culturale del tempo, della generazione
di scrittori, artisti e musicisti che
avevano animato la scapigliatura, che aveva
frequentato ma dai quali, sia nei temi sia
nell'espressione linguistica pure ne era
stato lontano, a favore di una narrativa più
"rosa" che lo aveva reso tanto caro al
pubblico dell'epoca.
Francesca Santucci
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