Raffaele De Leo
(1897- 1955)
Poesie e Prose
È questa una sezione particolare del mio sito, che ho voluto dedicare
a qualcuno che non ho mai conosciuto e che pure subito m'è parso
familiare, che ormai da tempo non c'è più ma che, in qualche
modo, vive ancora: Raffaele De Leo.
Quando l'amica Maddalena De Leo mi
ha sottoposto le poesie e le prose di suo nonno Raffaele, mancato prima
della sua nascita, ma la cui presenza ha sempre avvertito prepotente
fin da ragazza, sono subito rimasta molto colpita dalla sensibilità
dell'uomo, che traspare dai suoi scritti, ma anche dall'intrinseco
valore letterario dello scrittore, valore certo non ignoto
ai suoi tempi se, nel lontano settembre del 1918, il suo racconto
breve, Mezzanotte, venne premiato con ben cinquecento lire dalla
rivista "L’ Ardengo" di Milano.
Commuovono i suoi versi crepuscolari, che si
dipanano nostalgici e musicali, che hanno titoli e sapore d'altri
tempi (Reminiscenze, Lontananza, Chimere, Alla mia gioventù, etc.),
ma anche le sue prose ispirate dagli eventi tragici del primo
conflitto mondiale, che si trovò costretto a vivere in prima persona,
da soldato, al gelo, del clima e dell'anima, delle Dolomiti, strappato
al calore della sua città partenopea, agli affetti e alle
certezze della vita spensierata.
Ricordo una scena, che certamente è presente nell'immaginario
collettivo, della commedia Napoli milionaria,
del grande Eduardo; c'è il
protagonista, Gennaro Jovine, che, catturato in un rastrellamento dai
Tedeschi, dopo un lungo periodo di prigionia ritorna a Napoli e cerca
di raccontare gli orrori della guerra, ma non gli riesce perché tutti
gli troncano la parola, dicendogli che ormai quel brutto periodo è
passato e non deve più pensarci, ma, evidentemente, per chi quegli
orrori li aveva ancora davanti agli occhi, quel tempo non era passato.
Chissà, forse anche per Raffaele De Leo dovette essere così, forse i
ricordi torturavano anche lui, ossessivi
come
il dan, din, dan
della campana di cui parla nel racconto
Mezzanotte, ma, forse,
contrariamente al personaggio eduardiano, non aveva voglia di
parlarne, voleva solo dimenticare, perciò usava il verso come la
morfina, come afferma nella sua poesia
Il
mio ritratto.
Restarono, però, in lui i segni della drammatica esperienza vissuta da
ragazzo, comune a tutti gli sfortunati giovani che nacquero
nell'ultima decade dell'Ottocento e che, di "diritto", si trovarono
arruolati a combattere nella prima guerra mondiale (e poi dovettero
subire una dittatura ed un altro conflitto), assalito da quel male oscuro, ancora così attuale,
contro il quale lottò fino alla fine dei suoi giorni: la depressione.
Sarebbe stato bello per Maddalena, come nipote, ma anche come
scrittrice, conoscere quel fragile poeta un poco triste che fu suo
nonno, ma il
destino diversamente decise, anche se di lui, comunque, le arriva
qualcosa d' importante: queste bellissime parole che oltrepassano
il tempo e lo spazio!
È da serbare gelosamente, caramente, il
ricordo di questo nonno che, purtroppo, non le è stato dato
incontrare, ma di cui sopravvive la parte più bella: la
sua fragilità di uomo, che lo spingeva ad affidare ad un bianco foglio
le più intime emozioni, e la sua sensibilità poetica,che ci giunge, con
intatta forza ed autenticità, attraverso i suoi scritti e che riverbera
anche nei bei versi semplici di colui nelle cui vene scorre lo stesso
suo sangue, porta lo stesso nome e ne
continua la tradizione poetica: il suo pronipote Raffaele Tardio,
figlio di Maddalena, che, a soli 11 anni, ha già conseguito il suo primo
riconoscimento in concorso, con una bella poesia, "Inno all'olivo",
che è possibile leggere nella pagina successiva!
È assolutamente da tramandare, perché non si disperda travolta
dall'oblio, la voce autentica e gentile di questo poeta d'altri tempi:
Raffaele De Leo.
Francesca Santucci