Lettera XXX
Mia adorabile
Carlotta,
mi stringo al
seno il tuo fazzoletto, ed asciugo con esso delle lacrime non
meno amare delle tue. Grazie di tutto e della tua lunga lettera
che leggo, studio, medito con trasporto. Purtroppo tutto è
comune in noi, desideri, affetti, stranezze, passioni, tutto. Ci
siamo chiesti temporaneamente un oggetto qualunque di memoria, e
mille volte ci successe di muoverci nello stesso tempo le stesse
domande. Le nostre anime sono sorelle, e la fortuna soltanto le
aveva finora separate, incontrandosi si conobbero e si amarono.
Come avrebbero potuto non amarsi? Io aveva tolto il tuo ritratto
dall'album perché i miei amici ti osservavano spesso e mi
dispiaceva che ti vedessero, era per tuo riguardo, e nulla più,
ti offendi per motivi che non esistono, togliendolo di là lo
conservava invece tra le cose più care ove non esiste altro
ritratto che il tuo. Se ne togli quell'Ernesta di Casale, io non
ho altri ritratti od oltre memorie. Ho io pure tutto distrutto,
lettere, oggetti, immagini, tutto e non conservai che la
rimembranza d'un amor puro, d'un amor grande, indefinito, e reso
santo dalla virtù e dal sacrificio. Io non amo più quella donna,
o se l'amo, l'amo come una sorella, ignoro da molti anni la sua
sorte, essa è morta per me, ma non mi deciderò mai a distruggere
le sue memorie. Esse sono la mia religione, il mio altare, da
lei ho imparato ad amare, a soffrire, e ad essere virtuoso, in
lei si riassume tutta la mia vita. Tale confessione non ti
deve essere dolorosa, sai che io ti offersi un cuore buono ma
non vergine. Del resto gli altri ritratti sono di persone
inconcludenti, i due che ti mando lacerati sono le immagini di
due mantenute e ti ringrazio di avermi fatto comprendere il mio
torto nel conservarli con gli altri. Io conobbi appena quelle
donne, e non ho altre memorie che di Ernesta e Carlotta. L'una
non esiste più per me, e l'altra esisterà per sempre. Se fossi
accompagnato, non mi dispiacerebbe questa volontaria prigionia
cui mi sono assoggettato, ma così solo, divento pensieroso e
triste, leggo almeno le tue lettere, guardo il tuo ritratto, ti
chiamo, e vivo, vivo di speranze...Io ti appartengo, come tu
appartieni al tuo Ugo, mai così tuo come ora.
Ugo
martedi ore 4
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